Incubo nella palude

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    Ciao! Questa che propongo è una fanfiction del videogioco online e multiplayer Dead By Daylight scritto in prima persona, ho voluto condividere la mia esperienza di gioco arricchendola con emozioni e particolari introdotti da me per rendere la lettura più fluida. Ciao e buona lettura!

    «Fuck dig, rumphål!»

    Quando ripresi i sensi mi trovavo avvolto dalle canne e da altre piante tipiche della palude. Un forte mal di testa e un dolore alla spalla mi tormentavano, là dove ero stato agganciato all’uncino; fortunatamente, mi avevano salvato. Non capivo dove fossi ma riuscivo a vedere una scena memorabile: una giovane donna minuta ma incredibilmente agile si stava facendo inseguire nella notte da una creatura informe e armata di un’arma strana. Non riuscivo a crederci, quella ragazza gli stava tenendo testa! E così, solo dopo qualche secondo di contemplazione notai che un giovane era chino su di me a curarmi le ferite con ago e filo, beccando fortunatamente tutti i punti.


    «Aspetta un attimo ho quasi finito. Ora stai attento: potrai correre e schivarlo come prima ma devi riuscire a tenerlo lontano dalle macchine o lo porterai dritto da Claudette!», mi sibilò all’orecchio proprio mentre la donna con un urlo di rabbia era scivolata sopra a una tavola di legno schivando un fendente dritto all’addome. «Vedi quanto è difficile? Sai quanto Nea è brava con le acrobazie ma non ce la farà per sempre. Vai, hai le gambe lunghe e sei allenato a correre. Distrailo.»


    Detto ciò, finì di medicarmi, mi baciò sulla fronte come per augurarmi sia fortuna sia, casomai, una morte veloce e si allontanò chino sotto alle cime delle piante alla ricerca probabilmente di uno dei cinque generatori da riparare. Ero stanco, ma mi reggevo in piedi e quindi mi avvicinai alla catasta di travi e tavole attorno a cui preda e predatore si inseguivano. Ancora più vicino rimasi stupefatto dalla scena che non avevo notato prima perché troppo lontano: la canottiera verde che portava sotto alla giacchetta chiara era lacerata in più punti e pur nella penombra delle luci lontane potevo notare quanto la carne fosse stata dilaniata! Se non fossi intervenuto Nea non ce l’avrebbe mai fatta! E così, ancora leggermente intontito, sempre guardando quelle due figure scure rincorrersi e slanciarsi in avanti e indietro in una danza macabra e frenetica allo stesso tempo dove il sangue e le macerie sancivano il perimetro di movimento, mi chinai a tastare il terreno sotto di me. Era molle, le dita con un minimo di pressione affondavano paurosamente nel suolo saturo d’acqua. Trovato un pezzo di trave abbastanza lungo e grosso da permettermi di colpire l’aggressore senza avvicinarmi troppo iniziai a muovere i passi verso i due, fino a essere a un metro dietro a lui. Lei mi vide, nuovamente protetta dalla tavola di legno fatta cadere tra due cataste.


    «Vieni qui frocetto che ammazza le giovani donne belle e innocenti.», ringhiò guardandolo dritto negli occhi. Con i suoi intensi occhi blu. Solo quando gli sputò in viso lui uscì dal torpore e con due calci spaccò la tavola che li divideva, pronto a colpirla definitivamente con la sua strana ma comunque letale arma che nella penombra non riuscivo a riconoscere.


    Per fortuna avevo già caricato il colpo e con una mazzata lo buttai in ginocchio sul terreno pregno di fango e allora anche di schegge di legno. L’adrenalina stava iniziando a prendere il mio corpo, soprattutto quando lui scomparve divenendo invisibile. Dove poteva essere? Era ancora là o stava strisciando via? Non riuscivo a capirlo… Così febbricitante balzai in piedi e raggiunsi quella ragazza agile ma allo stesso tempo dotata di una forza di volontà che avrebbe impressionato chiunque. Era sporca di sangue, le sue unghie erano completamente nere in una mistura di sangue, fango e chissà cos’altro ci fosse lì in quell’orrido posto, era piena di tagli lungo tutto il corpo; alcuni freschi altri probabilmente vecchi di altre aggressioni.


    «Bene, ormai dovrebbero avere terminato una macchina. Vado a controllare. Qualunque cosa succeda ricorda: molto probabilmente questa testa di cazzo si sarà allontanato alla ricerca di qualcuno da sacrificare sugli uncini. Tu aiutami a cercarlo: lo senti dalle campane e… attento: sicuramente ce l’ha con te e conosce i tuoi punti deboli visto che ti aveva già immolato una volta!»


    E così mi lasciò solo in un mondo che non conoscevo. La sua frase mi aveva lasciato veramente confuso e spaventato: la botta in testa mi aveva fatto dimenticare tutto e non capivo cosa stesse succedendo! Vedevo solo una palude avvolta da una densa nebbia su cui erano state lasciate qualche palazzina e travi di legno. L’atmosfera era calma, il silenzio regnava sovrano, quindi decisi di mettermi a esplorare con una leggera corsetta, attento a non impantanarmi nelle sabbie mobili. Arrivai a un edificio in legno molto decadente, le finestre erano senza vetri, le porte erano solo usci, ogni tanto le assi del pavimento erano saltate. Le stanze erano praticamente vuote, ogni tanto incontravo solo sporadici armadietti rossi, tipo quelli deli spogliatoi, in cui avrei anche potuto nascondermi; una cassa ma non riuscivo ad aprirla. A un certo punto nell’edificio incontrai un bivio: andare al piano superiore o a quello inferiore? Scesi le scale e rimasi inorridito dall’uncino che trovai al centro dell’unica stanza! Era sanguinante, fresco di uso, dall’altra entrata una scia di sangue lo raggiungeva come se lui ci avesse portato una persona per sacrificarla a un dio o un’entità che conosceva solo lui. Non aiutò a migliorare la situazione il tuono che sconvolse quel mondo strano e poi un secondo tuono subito dopo; e nemmeno il suono di campane che strisciò prima nell’edificio, poi al bivio e infine alle scale da cui ero sceso!


    Lui era qui!


    Era qui, sentivo i passi sulle assi malconce che componevano le scale da cui ero sceso pochi attimi prima! E subito mi ricordai di come già mi avesse perseguitato attraverso la foschia delle palude tra le mosche e le pozzanghere di melma! Di come al secondo colpo mi avesse atterrato e poi issato in spalla… Non volevo certo ripetere quell’orrore e quindi veloce più che potei ma anche silenzioso quanto più potei scivolai dentro a uno degli armadi rossi nella stanza e con il cuore oramai a mille osservai tutto quello che sarebbe successo lì fuori dal mio angolo di salvezza, sicuro.


    Lui arrivò nella stanza e trovandola vuota si mostrò, prima come una sagoma di luce arancione e brillante e solo dopo alcuni secondi abbondanti a figura intera e tridimensionale. Trasalii quando i suoi occhi morti e grigi guardarono per un tempo interminabile gli armadi e poi, e poi il mio armadio: non avevano pupille o iridi, solo una gelatina grigiastra poco più chiara della pelle evanescente. Era enorme, indossava quella che sembrava una casacca stinta, all’inizio doveva essere bianca o di un altro colore chiaro ma ormai era quasi completamente ricoperta di sangue: schizzi, strofinii e qualcos’altro. E in mano aveva quello che sembrava uno scheletro, un cazzo di scheletro con tanto di teschio appuntito e colonna vertebrale! Mi sentii mancare, avevo la testa vuota e le ginocchia molli; se fossi caduto, se mi fossi appoggiato alla parete, se avessi prodotto un qualsiasi rumore più forte del mio respiro, lui avrebbe aperto le ante e lo avrei guardato negli occhi morti mentre mi ammazzava! In quel momento lo potevo osservare attraverso alcune fessure nella porta dell’armadietto ma sapevo che nulla sarebbe servito se si fosse accorto di me. Mi serviva qualcosa che lo distraesse, un espediente, un colpo di fortuna! Ma cosa potevo fare se non stare a guardare mentre apriva l’armadio di fronte al mio? E temere che dopo avere ispezionato una stanzetta del seminterrato venisse da me con lo scheletro monco pronto a spaccarmelo in testa? Nulla. E infatti, quando era sicuro che mi trovassi dietro a due lamiere si piantò davanti a me con un sorriso inquietante dipinto in volto -era dipinto, non provava emozioni-. Quello che sembrava un rantolo proveniva dal suo corpo sempre più frequentemente, mentre le spalle venivano sconquassate da una forza incontrollabile, per poi irrigidirsi d’un tratto al suono di un tuono: il terzo generatore era stato riparato! Non feci a tempo a voltarmi per vedere una strana luce rossa attraversare per un attimo il muro e poi le assi di metallo dell’armadietto che lui era sparito in una melodia suadente e trascinante di campane melodiche.


    Prima un leggero cigolio dei cardini che giravano, poi la punta della scarpa sinistra e infine, con l’anta in pugno pronto a sbattermela contro per cercare di nascondermi nuovamente, uscii titubante dal mio nascondiglio. Sapevo che ormai era sopra di me, nella palude a cercare di attaccare gli altri sopravvissuti e non poteva tornare da me: già tre generatori erano stati riparati e non poteva permettersi di rincorrere qualcuno che forse si era solo sognato di avere percepito, sempre che quell’essere sognasse. Lentamente, mi incamminai verso le scale da cui ero sceso, le salii cercando di non farle scricchiolare e raggiunto il piano terra della struttura vacillante corsi fuori, giusto in tempo per vedere in lontananza una scena orribile: lui stava trasportando in spalla il ragazzo dai tratti spagnoli che mi aveva soccorso prima, esanime e con la gamba spezzata e a penzoloni. Istintivamente, mi accovacciai dietro a un muretto di rocce bianche e facendo sbucare solo la testa in modo che si potessero vedere a malapena i miei corti capelli castani (difficili da distinguere a quella distanza dal terreno scuro e paludoso tutt’intorno a noi) lo vidi mentre lo issava a un gancio da macellaio. Una fitta di dolore mi attraversò la spalla mentre lui urlava, cazzo, mi era successa la stessa identica cosa! Dovevo salvarlo, non sapevo come ma dovevo. Accovacciato iniziai ad avvicinarmi ai due, Ace che si dimenava cercando di tirarsi su con le braccia e sfuggire alla lama che lo stava lentamente lacerando e l’aggressore che in un turbinio di campane tornò invisibile. Ormai vicino solo qualche metro, con la coda dell’occhio notai prima un movimento sospetto tra le canne e poi, seguendo quella cosa, una ragazza dalla pelle scura e i capelli ricci intenta a riparare un macchinario strano quanto complesso: cosa fare? Da chi andare? Lasciare che l’argentino morisse e avvisare quella strana ragazza intelligente ma altrettanto ingenua o salvarlo e condannarla a venire ferita dalla colonna vertebrale di un antico sventurato? Fortunatamente, il dilemma non si pose perché all’improvviso la ragazza fu raggiunta dall’altra, quella esile e incredibilmente agile di qualche minuto prima che era riuscita a seminare l’aguzzino; le due insieme conclusero la riparazione e forti scapparono alla ricerca dell’ultimo ostacolo alla nostra salvezza. Toccava a me: lui di sicuro le avrebbe inseguite!


    Arrivai troppo tardi, quando lo raggiunsi mi ritrassi inorridito: dalla struttura di legno, da cui pendeva l’uncino che lo teneva sollevato in aria, orribili braccia scheletriche comparvero pronte a sbudellarlo; cercai di tirarlo giù, di strattonarlo ma niente. Lo colpirono a morte, trafiggendolo in svariati punti all’addome; scomparve in una nube di cenere, risucchiata nel cielo avido e mortifero. Era morto. Attonito, non sapendo cosa fare camminai senza meta per alcuni minuti, quasi non riuscii a togliere il piede da una pozzanghera più profonda del previsto e non mi ridestai nemmeno quando l’ultimo tuono risuonò nella palude. Non mi importava, rivedevo tutte le cose che avevo subito fin da quando mi trovavo lì, mi stavano tornando in mente tutte: la mia sparizione nei boschi durante la notte molto tempo prima, il patto fatto con un’entità malefica e indistinta, la caccia che mi aveva riservato il Campanaro, così lo chiamo quello stronzo. Immagini su immagini, le cicatrici inflittemi da lui e dalla vegetazione, i rovi, il terreno molle e le sabbie mobili, le assi scheggiate e la lamiera rugginosa. Forse fu per quello che quando la ragazza dai capelli corti arrivò da me per fare qualcosa non reagii, non la guardai nemmeno attentamente. Reagii solo quando sentii quello che aveva da dirmi e trasalii.


    «Dietro di te! Corri all’uscita, lo stronzo figlio di puttana è dietro di te!»


    Non feci in tempo a girarmi o muovere un passo che sentii una fitta alle costole, come se una grande mazza mi avesse colpito, come se a baseball il battitore al posto di colpire la palla avesse colpito me! Caddi a terra, le mani alla pancia con il viso paonazzo dal dolore, strisciai via, potevo sentire i suoi passi dietro di me! All’improvviso, lo sentii a fianco, riuscivo a intravedere la sua immensa figura grigiastra, il rantolo che produceva mentre alzava quella strana arma di ossa, pronto a colpirmi! Scartai di lato, con pezzetti di terra e piantine che mi inondarono il viso dove la mazza aveva colpito il terreno. Veloce, con il respiro affannato, zoppicando seguii la ragazza, Nea, un bel viso dopotutto, nordico; nuovamente scartai di lato tra due cataste di legno e feci cadere dietro di me la lastra piena di schegge, sapendo che lo avrebbe rallentato sia che l’aggirasse sia che la spaccasse. Con il sangue alla testa e il viso paonazzo, la bocca che schiumava saliva e la sensazione di impotenza, i piedi non sembravano muoversi, raggiunsi un grande arco costruito su un muro di mattoni, lo guardai consapevole che prima era occupato da un enorme portone di metallo lavorato e impenetrabile e mi voltai.


    Lui era lì, con il suo scheletro monco in mano, in piedi a fissarmi. I suoi occhi morti mi fissavano, le campane erano mosse dal vento, come il mantello da cui era avvolto. Ci fissammo, il cuore finalmente iniziò a rallentare il battito, il male minacciò di farmi svenire. Sorrisi e guardai le ragazze.


    «Forza David, andiamo!»


    «Sbrigati stupido prima che si metta a correre! Styrka!»


    Felice, varcai la soglia di quel mondo maledetto e mi ritrovai solo, nella foresta in cui ero scomparso molto tempo prima.



    Edited by Tony! - 23/7/2019, 17:45
     
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