L'uomo di mezzanotte

Racconto introspettivo

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    L’uomo di mezzanotte

    Là dove finisce la città, trenta minuti alla mezzanotte della vigilia del giorno di Ognissanti, nella tenebra che più nera non poteva essere. Ma ad un tratto una tenue luce, un lampione lontano, echi di risate e di conversazioni da ragazzini ed io, seduto su una panchina, nel buio riesco a sentirli, a percepirli e questo non mi va. Lasciatemi solo, nei miei pensieri neri; lasciatemi solo a cercare di dargli un po’ di luce; ma gli schiamazzi restano, vedo ombre alla fioca luce di quel lontano lampione, ombre fugaci che appaiono e scompaiono per un attimo. Guardo l’orologio che per fortuna è digitale e con l’illuminazione posso vedere l’ora: dieci minuti alla mezzanotte; mi viene sonno, ho voglia di stendermi su quella panchina e di dormire ma con gran fastidio scopro che non è possibile: sento che loro, quelli che parlano e ridono sono più vicini, più alto è il rumore e ad un tratto li percepisco attorno a me e nervosamente guardo ancora l’orologio: cinque minuti alla mezzanotte. Sono esausto, casco dal sonno ma riesco ad alzarmi ed andare via, via da quel posto, via da quel non luogo, via verso il ritorno alla città con le sue luci, con i suoi tranquilli abitanti, con un pugno di bambini mascherati che anche fino a mezzanotte accompagnati dai genitori vagano qua e là cercando di imitare la festa di Halloween come se fossero bambini americani. Ma ad un tratto guardo ancora l’orologio: segna ancora cinque minuti alla mezzanotte, sono ancora là, l’illusione finisce ed io mi ritrovo ancora là, con l’unica, tenue luce di quel lontano lampione con ombre che appaiono e scompaiono e le risa, quelle tremendi risa di chi vive là, dove finisce la città.
     
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