La donna nel deserto

Esercizio di scrittura

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    Un deserto si estendeva sotto agli anfibi della donna dai lunghi capelli neri. Non c'era luce che potesse riflettersi sul viso ceruleo, nessun raggio per cui le pupille si stringessero. Solo il buio. La donna camminava sola, da sola con le tenebre dell'Inferno che la circondavano.
    Non sapeva come ci fosse arrivata ma da quando si trovava lì la sua esistenza era stata sconvolta dalle mostruose visioni che la tenevano. Era come cieca, anche se ci vedeva benissimo. Era come muta, anche se ci sentiva benissimo. Era come immobile, anche se la sua marcia era immutata da giorni. Era sola, anche se loro non la lasciavano in pace un attimo. Un giorno era una normale ragazza impegnata solo a studiare e a divertirsi, un altro una sopravvissuta a entità ultraterrene. Ormai ci aveva fatto l'abitudine.

    <Che freddo di merda>
    La donna si copriva i lunghi capelli neri con un foulard argenteo, le labbra erano secche e il naso increspato e rosso a causa delle sferzate di vento nel deserto dell'Inferno. Teneva le gambe chiuse, raccolte, ginocchia vicine e anfibi posati a terra, con la pianta aderente alla roccia nuda; era stanca di camminare. Si era seduta non sapeva quando, forse qualche secondo prima o pure ore: era difficile da gestire il tempo che correva irridente. Ma aveva fatto un errore a imprecare, ora le facevano male i denti e aveva la bocca fredda. Faceva freddo, era buio. Tuttavia all'Inferno poteva vedere benissimo; scorgeva in lontananza un figuro. Un altro.

    La donna poté scorgere in lontananza lo strano figuro subito, si stagliava orrendamente sullo sfondo rosso sanguigno, con le sue braccia sottili come un filo di lana ma lunghe. Sapeva che la stava guardando. Si muoveva arrancando, tirandosi di forza su per il terreno scosceso, bramava avvicinarsi a lei. Un braccio era lungo più di quindici metri, l'altro era molto più corto ma largo; molto più largo. Stava sorridendo, mentre le rocce aguzze gli tagliuzzavano l'addome. Stava sorridendo mentre si avvicinava a lei. Lei non aveva occhi funzionanti, ma lo guardava da lontano e sapeva che il suo sguardo era ricambiato.

    Non sapeva che fare. Continuava a muoversi durante le mattine, camminava per ore nella totale oscurità, sentiva i sassi sotto i suoi anfibi divenire più fini o ingrandirsi a seconda della posizione. Tuttavia, a fine giornata si ritrovava sempre nello stesso posto ventilato; troppo ventilato, doveva trovarsi vicino a un dirupo o comunque a una panoramica. Certe volte lo scialle sembrava si sarebbe sfilato, snodato, che non l'avrebbe più protetta; altre volte, semplicemente sembrava che il vento l'avrebbe trascinata giù, a lui.

    Lei stava ferma, ma lui continuava ad avvicinarsi verso di lei. L'avrebbe raggiunta. In piena crisi di nervi, si tastò le orbite vuote da cui un tempo era sgorgato sangue -ormai essiccato- e deglutì: l'avrebbe raggiunta e se la sarebbe mangiata.
     
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