Il Terrore di Halloween

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    Ogni giorno in ospedale migliaia di persone vanno e vengono.
    Quel giorno una giovane ragazza dagli splendidi capelli corvini entrò in ospedale e si avviò negli spogliatoi dove indossò la divisa. Per quel giorno sarebbe stata un’infermiera.
    Vestita andò in bagno dove si mise un po' di fondotinta e il mascara. Le dispiaceva calzare quelle scarpe da ginnastica che tanto odiava, ma doveva: di certo non poteva andare a prendersi cura del suo paziente con i tacchi a spillo.
    Pronta, andò nella stanza del giovane.

    Lo trovò là, nel letto.
    Gli sorrise fredda. Trovava patetico che quel biondo cercasse di avvicinarla. Sotto le coperte.
    Lei non aveva mai accettato. Ovviamente.
    Come al solito, gli portò il vassoio con la colazione e lo depose sul tavolo.
    E si sedette sulla sedia bianca. Quasi come la sua pelle.
    «Alessio, non mangi?»
    Il giovane si stiracchiò e la guardò. «Jennifer, sarebbe peggio per te. A causa della mia pazzia ieri mi sono dimenticato di vestirmi dopo la doccia e se mi alzassi sarei nudo. Non vorrei traumatizzarti»
    La bella ventinovenne rise con la sua risata argentina.
    «Alzati: sopravvivrò. Di certo non ti servo.»
    «E perché no, bella bionda?». Sorrideva speranzoso.
    L’unica reazione dell’americana furono le gambe che accavallò. «Non sono bionda.»
    «Ma sei bella. Ok, ora arrivo.»
    Gli occhi chiari dell’inserviente seguirono le coperte che venivano spostate ai lati del letto, le gambe che scendevano sul pavimento e i piedi che entravano nelle pantofole per sfuggire al freddo. Poi sorrise, mentre Alessio si sedeva sulla sedia, dopo una lenta camminata, più simile a una passerella che a un trasferimento da una parte all’altra della stanza.
    «Com’è andata la notte?»
    «Malissimo.» Gli occhi azzurri erano stremati. «Come al solito. Ho sognato di nuovo la notte del massacro.»
    «Davvero? E questa volta ti ricordi nuovi particolari?» Le sopracciglia scure dell’infermiera si alzarono attente. Troppo attente.
    «Sempre le stesse cose. Gente sventrata e quella figura incappucciata che rideva sguaiatamente. Terrificante.»
    «Ormai è passato un anno. Dovresti riuscire a ricordare qualcos’altro.»
    Il biondo si bloccò a pensare. E urlò, agitandosi, buttando a terra la sedia, ribaltando il tavolo, scappando via. Jennifer dovette rincorrerlo per il corridoio e costringerlo a letto.
    Vedendolo addormentato ed essendo stanca, lo lasciò dormire e andò fuori, in corridoio, dai suoi colleghi a bersi del buon caffè.
    «Jennifer! Come va?». La dottoressa Giulia Rossi le stava sorridendo con il thè in mano.
    «Bene, grazie. Lei, Giulia?». Non era veramente interessata, ma doveva mantenere le apparenze.
    «Potrebbe andare meglio. La sera di Halloween dovrei passarla con i miei bambini e non in una casa di cura.», sospirò, «Tu, che ci fai qui? Non è il tuo turno»
    La bella Jennifer sorrise, mentre si chinava a prendere il caffè. «Rosa ha il fidanzato mentre io no. Abbiamo fatto cambio.»
    La conversazione s’interruppe, a causa delle bibite che catturavano la loro attenzione. Poi continuò.
    «Non si è ancora ripreso?» La voce del medico era ansiosa.
    «No. In effetti, non dev’essere facile essere l’unico sopravvissuto di ventitré ragazzi.»
    «Appunto. Tutti uccisi la sera di Halloween. È l’undicesimo massacro che accade durante la sera di questa tenebrosa festa.»
    «Quando lo hanno trovato era molto traumatizzato. Balbettava ed era coperto di sangue.»
    Giulia guardò negli occhi quella bella infermiera e se ne andò triste. Borbottava che quella mora non avrebbe dovuto essere sorridente mentre parlavano di quelle tragedie.

    Ormai erano le dieci di sera.
    Giulia Rossi attraversò il corridoio e raggiunse le scale. A un certo punto «Vuoi giocare con me?» risuonò nella tromba delle scale. La povera vittima iniziò a correre per i gradini sempre più velocemente cercando di sfuggire a una donna marmorea armata di spada. Ma quella si muoveva con l'agilità di un atleta. La figura scultorea la raggiunse. Fece appena in tempo a voltarsi e a urlare un grido vuoto, che vide la lama calare sul suo petto grasso, lacerando le carni e creando centinaia di torrentelli rossi e densi che correvano seguendo le grosse curve della povera vittima. A quei torrentelli se ne sarebbero aggiunti talmente tanti che non si sarebbe più capita quale fosse stata la sorgente più feconda. O se quel territorio ricolmo di montagne di carne avesse avuto una forma, prima dell’assalto dell’assassino.

    Alessio si svegliò sulle undici di sera, urlando e sgolandosi, agitandosi e ribaltando le lenzuola, piangendo e singhiozzando. Continuava a ripetere che lo stava inseguendo.
    La bella infermiera americana corse subito da lui, riversandosi nella stanza dal corridoio e non curandosi della porta, schiantata contro il muro. Raggiuntolo, lo calmò, inondandolo con il suo fresco profumo, mentre cercava di calmarlo, accarezzandolo, dopo averlo scosso per le spalle. Finalmente, egli raggiunse la pace e si lasciò andare sul cuscino.
    Jennifer andò a sedersi sulla sedia bianca di fronte al letto.
    Si guardarono nell’oscurità.
    «Alessio, come stai?» chiese fredda la mora.
    «Ora bene. Mi è venuto in mente un nuovo particolare della notte del massacro». Si chinò in avanti per guardare meglio la bella infermiera. «Ti sei fatta la doccia?»
    «Sì. Dormivi e sei il mio unico incarico qui in ospedale» Lo guardò nella penombra della stanza. «Cosa ti sei ricordato?» Accavallò le gambe e iniziò a tamburellare con le dita sulle ginocchia.
    «Mi ricordo l’assassino. Era avvolto in un grande mantello nero, ma riuscivo a vedere il viso bianco. Era armato di due spade, come quelle che si vedono nei film sul medioevo», iniziò a piangere, «li ha uccisi tutti. Nicola e Lara davanti a me!»
    Tremò e si nascose sotto le coperte.
    Jennifer non disse né fece niente.
    «La cosa più terrificante», continuò il ragazzo piangente, «era la sua risata argentina. Piena di gioia.» Smise di parlare per un attimo per pensare. «Era una donna dalla faccia bianca come il marmo e gli occhi erano neri! Ma neri come se... come se le orbite fossero state vuote!»
    Ormai tremava tutto e lo si vedeva anche se era sotto a strati di coperte. Ricordava i corpi sventrati, il sangue copioso, le viscere sparse, le urla silenti.
    Stava per avere una nuova crisi.
    E Jennifer non faceva nulla. Anzi, sorrideva non vista nella penombra.

    Quella situazione fu interrotta dall’arrivo nella stanza di un dottore, Claudio Fella.
    Claudio era distrutto, immerso dal sangue e in preda al panico.
    «Giulia è morta! L’hanno trovata sfracellata fuori dell’ospedale, in una pozza di sangue. Ma dicono che quando ha toccato il cemento era già morta, uccisa con più di cento pugnalate. L’hanno riconosciuta solo grazie al tesserino!» Tremò tutto, mentre sudava freddo, «È stata la serial killer, il Terrore di Halloween: accanto al cadavere sono state trovate una J una B! Vi rendete conto? È nell’ospedale!»
    Alessio ormai urlava. Claudio fece per aiutarlo, ma Jennifer si alzò e lo spinse fuori dalla stanza, chiudendo poi la porta a chiave.
    Scoppiò in una risata argentina.
    Lentamente, mentre la vittima prescelta si divincolava e si scopriva legata al letto per il collo, l’americana rivelò la sua vera natura, mentre lentamente la luce elettrica si spegneva. Più l'oscurità avanzava, la sua pelle diventava bianca e liscia e resistente come il marmo, i suoi occhi chiari perdevano colore fino a diventare fari di luce nera, i suoi vestiti si distruggevano per lasciare il posto a un lungo mantello nero come la sua anima. E dalle mani due lunghe spade comparivano.
    Si pregustò il nuovo gioco.



    Il detective Aldo Tarta era turbato. Due terribili omicidi erano stati commessi all’interno delle mura di un ospedale in cui ogni giorno migliaia di persone vanno e vengono. Nel giro di ventiquattrore, la sua squadra aveva interrogato centinaia di persone e tutte sostenevano un’unica tesi: una bella infermiera americana, Blood Jennifer, aveva lavorato per un anno in quell’ospedale come infermiera personale della vittima sopravvissuta al Terrore di Halloween.
    Nei registri e nei documenti non era stata trovata nessuna Jennifer Blood né alcuna infermiera americana. Era strano, anche perché le impronte digitali del serial killer e quelle di questa infermiera fantasma, rinvenute su un cassetto chiuso a chiave, combaciavano.
    Una cosa era certa, però: il Terrore di Halloween aveva colpito ancora.
     
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    Un racconto molto"Crudo", inquietante, dove la morte si traveste da infermiera per prendere l'ultimo sopravvissuto di una disgrazia. La morte ha molti volti :(
     
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1 replies since 7/4/2018, 07:55   39 views
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