Loro erano sopravvissuti e ora dormivano sereni e felici

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    Austin Kryon viveva in una grande villa ereditata dai suoi genitori e ci viveva da solo, da quando i suoi erano morti in un incidente aereo. Normalmente, vivere da solo in quella grande casa non gli aveva mai pesato particolarmente: senza animali domestici e nemmeno conviventi, passava la maggior parte del tempo fuori casa; soprattutto in università, dove studiava per diventare avvocato, o al GayVillage dove aveva incontrato Harry.
    Se Austin era una persona di ottima famiglia, abituato a sentirsi riverito e di non soffrire mai di alcun problema economico (aveva pure avuto la fortuna di vivere a pochi minuti dal campus di Yale), Harry invece era un barista. Harry era così: bello, sfuggente ma anche incredibilmente affettuoso e accondiscendente; quando Austin gli era saltato addosso fuori dal locale, Harry si era premurato invece che tornasse a casa e si mettesse a letto, ovviamente mettendogli lui stesso il pigiama dopo essersi fatti insieme un bagno nella grande vasca di casa Kryon. Harry era dolce e premuroso.
    Austin quindi non aveva problemi a vivere nella grande casa, ma ultimamente la solitudine si era fatta sentire prepotentemente: con il virus in circolazione, il college era stato chiuso, così come i bar e gli altri luoghi di ritrovo. Austin si era ritrovato improvvisamente solo.
    Austin non amava stare solo.
    L’unica persona che poteva andare a trovarlo durante la quarantena era il suo fidanzato, sempre premuroso.
    Le malelingue affermavano si dedicasse ad assicurarsi di mantenere buoni i rapporti perché il giovane ragazzo era molto bello e accattivante, oltre che schifosamente ricco, e quindi se avesse voluto avrebbe potuto trovare qualcun altro in meno di una giornata; tutti lo volevano: un futuro assicurato non solo per il benessere ma anche per il divertimento e l’affetto che quel biondino era in grado di regalare. Una volta qualcuno lo aveva chiamato ‘Cozza’: una volta trovato il ragazzo che giudicava perfetto, gli rivolgeva così tante attenzioni da quasi soffocarlo! Ma a Harry non importava: arrivava la sera, o il tardo pomeriggio, con una scorta di alcol e cibo in un sacchetto e di altri intrallazzi nell’altro e si piazzava con il compagno sul divano o a letto a passare del tempo insieme.
    Ecco, Austin quella sera era piazzato sul divanetto, quello vicino alla porta principale, quella presso cui Harry sarebbe entrato dopo aver citofonato dal cancello, e lo aspettava seduto a gambe incrociate. I pantaloni in kaki erano stretti, pur allargandosi a zampa d’elefante verso la caviglia, e sentiva l’inguine e le natiche particolarmente stretti e la tensione che lo opprimeva non era solo psicologica ma anche fisica!
    I minuti sembravano ore, mentre la luce entrante dalla finestra diventava sempre più scura, la pittura rossa sul viso e i pettorali glabri del ragazzo iniziava a seccarsi, la pelle sembrava più secca e le sopracciglia iniziavano a fargli male; pitturarsi in quel modo forse non era stata una grande idea.
    Austin era abbastanza nervoso: aveva un’assoluta voglia di incontrare Harry e il suo meraviglioso e larghissimo sorriso. Sorrise tra sé, pensando all’immagine del suo ragazzo disteso dietro di lui mentre insieme guardavano “La maschera della morte 2” sul divano in pelle nera del salone grande davanti allo schermo della Smart TV. Popcorn e TV, e finiti i popcorn qualcos’altro. Sorrise soddisfatto e guardò in direzione della porta, ansioso.
    Finalmente il campanello del cancello trillò e Austin saltando giù dal divanetto quasi non si ruppe il collo. Lo fece entrare, gli aprì la porta e aspettandolo si controllò nel grande specchio in bagno, quello vicino alla hall, per gli ospiti. Soddisfatto, andò a raccogliere la faretra e l’arco appoggiati al divanetto, se li mise addosso, e corse allo stipite della porta aperta: Harry lo stava aspettando per entrare.
    «Dolcetto o scherzetto, mio indiano selvaggio?»
    «Beh, se non mi dai il dolcetto, puoi farmi lo scherzetto! Dai entra che fa freddo! Ti ho aspettato a lungo, troppo!»
    Austin sorrise e lo invitò ad entrare.
    Harry sorrise a sua volta ed entrò, una mano teneva un sacchetto di plastica pieno di salati, mentre nell’altra alcolici e bibite analcoliche. Appoggiatele velocemente nel grande tavolo in legno imbiancato della cucina, tornò da Austin nella hall e lo abbracciò per un lungo istante; per l’ospite di casa sembrò un’eternità, un’eternità che sarebbe finita troppo presto, con la ripartenza del suo amore due giorni dopo la mattina presto.
    «Ciao Austin», sussurrò dolcemente Harry mentre con le labbra sfiorava delicatamente la guancia del ragazzo, «E buon Halloween!»
    «Ciao Harry!», rispose entusiasticamente Austin, abbandonandosi fiducioso alle grandi braccia del fidanzato, «E buon Halloween anche a te, il nostro terzo! Film? È già tutto pronto»
    In risposta Harry sollevò il ragazzo portandoselo in braccio verso il grande divano nero in pelle che entrambi conoscevano molto bene: era facilissimo da lavare, le macchie si notavano a colpo d’occhio. Quindi i due si issarono l’uno appoggiato all’altro e presero il telecomando, lasciato sul mobiletto di vetro temperato a pochi passi dal divano.
    Mentre Austin si crogiolava tra le braccia di Harry e preparava il film, gli chiese se avesse qualcosa sotto a quella tuta e la risata frizzante in risposta fu eloquente. Quindi digitò la password per accedere allo slasher; il canale di streaming “Hearts sucks, cinema never” era sempre molto attento alla protezione dell’infanzia e finalmente arrivarono i titoli di testa.
    Iniziarono a guardare, ma fermarono a breve: mancava qualcosa di importante!
    «Harry… Maaa… E i popcorn?»
    «Mi sa che sono rimasti in cucina. Se ti alzi li vado a prendere!»
    «Ah, mi devo alzare? Sticazzi, guardiamo il film, è la notte di Halloween e potresti beccare un fantasma. Meglio guardare il film!»
    E il film riprese la sua corsa, con i due caldi corpi nel loro abbraccio, all’ombra della luna ormai crescente.


    La maschera della morte 2.
    Il film raccontava la storia della strage di un gruppo di campeggiatori andati a trascorrere un tranquillo weekend sulle Montagne Rocciose, inconsapevoli che sul luogo si aggira un maniaco armato di ascia. La pellicola era la primogenita di una lunga saga, con personaggio di primo piano all’interno di tutti i capitoli il serial killer armato di ascia e con il volto coperto da una pesante maschera di legno e sangue, caratterizzata da un reticolo di sangue essiccato sulle tempie e attorno agli occhi. Sette film erano usciti dagli anni Ottanta in poi, e Austin li aveva visti tutti, ovviamente il ragazzo preferiva il primo, il più originale.
    I titoli di testa mostravano prima una panoramica in campo lunghissimo del posto per poi concentrarsi su una piccola valle ombrosa. In questa piccola valle ombrosa si ergeva una piccola baita di legno, molto vecchia, e dietro ad essa c’era un cimitero a cielo aperto composta da decine di vittime sbudellate e impalate: erano le vittime del Lumberjack, il killer della famosa saga.
    Solo ora compariva il titolo del film, mentre subito dopo la narrazione si spostava a Gardiner, una piccola città del Montana e introduceva il gruppo di sventurati ragazzi.
    «Certo che sono veramente stereotipati!», protestò Harry vigorosamente. Quindi, infastidito, si spostò dal mento la faretra e mosse dal petto l’arco: Austin aveva sì scelto di vestirsi da indiano d’America ma quel costume gli dava un fastidio assurdo, visto che il ragazzo stava guardando la pellicola semi-disteso su di lui! «E Austin, togliti subito l’arco e le frecce, siamo distesi abbracciati, mi fanno male!»
    Austin roteò gli occhi, mise in pausa il film e lo accontentò. «Contento? Ora possiamo continuare la visione del film in santa pace?»
    Harry sorrise e se lo strinse forte e gli disse di sì. Austin allora premette il telecomando e il film riprese la sua corsa.
    Come da tradizione, il gruppetto di campeggiatori era composto da un insieme di personaggi stereotipati e dalla loro stessa natura era stato scontato capire chi sarebbe morto; almeno le morti erano fantasiose e piene di gore.
    Il primo a morire era stato l’unico ragazzo nero della compagnia, che era andato a esplorare il paesaggio prima di cena, per sgranchirsi le gambe dopo il lungo viaggio. Il secondo e il terzo erano la tipica coppietta in calore appartatisi disgraziatamente vicino alla baita del killer ma non abbastanza da poter notare gli orrori che essa nascondeva. Poi in ordine c’era il classico nerd fattone che senza accorgersi era caduto proprio ai piedi del Lumberjack, la biondina troietta decapitata mentre cercava il palestrato per il bagno di mezzanotte nel torrente, il palestrato mentre la cercava invano e infine il migliore amico gay della protagonista, morto precipitando nel burrone con il camper assieme al killer. Solo la ragazza era sopravvissuta, ma visibilmente scioccata e totalmente sola e senza mezzi, ricoperta di sangue, con i lupi che ululavano in lontananza la sua morte per fame o per caccia predatoria.
    A fine film, i due morosi erano indaffarati: Austin gli aveva sfilato la tuta da giraffa dalle e aveva avuto la conferma che sotto Harry non teneva nulla; Harry invece dal canto suo si era limitato a tenere ferme le mani del ragazzo e a baciarlo, mentre con la mente riguardava le orride scene che aveva appena visto.
    «Maaa… Come fai a dire che ti piacciono film come questi? Ogni volta che li guardo con te rimango sempre inorridito! Il modo in cui il killer strappava l’arto sinistro e poi quello destro dal nerd… E dire che all’inizio dovevamo mangiare pure dei popcorn durante la visione! Austin, che schifo!»
    Austin non era invece particolarmente colpito dalla visione, gli piaceva, non era la prima volta che guardava quella pellicola. E le morti di quel film, la loro efferatezza, non erano che un frammento della fantasia e del gore che gli sceneggiatori sarebbero stati in grado di inventarsi nei capitoli successivi.
    Si limitò a dire, con i suoi occhi verdi così maliziosi, «Bene, se proprio non ti è piaciuto guardare quel film, puoi sempre guardare altro!»
    E mentre gli occhi marroni del ragazzo si combinavano assieme alle folte sopracciglia castane in espressioni prima di non comprensione e poi di ilare rassegnazione, Austin lentamente si sedette sul bacino del moroso e lentamente si tolse il gilettino in pelle marrone con una serie di frange, poi lentamente si abbassò gli attillati pantaloni color kaki e sfilatilisi di dosso lentamente si girò, rivelando di indossare solo un jockstrap, per mostrargli ovviamente i lunghi segni rossi, che il ragazzo si era fatto per emulare i tatuaggi tribali delle tribù più antiche.
    «Come hai fatto a segnarti le natiche con un disegno tanto complicato?», fu l’unica cosa che Harry riuscì a dire, mentre la bocca minacciava di riempirsi selvaggiamente di saliva e si sentiva improvvisamente stanco, febbricitante.
    Austin sorrise, rise con la sua risata roca, e si girò a guardare quel barista che tanti drink gli aveva offerto quando si erano conosciuti, sperando di farlo ubriacare. «A scuola ero il migliore al corso di arte, non dimenticarlo. Saprò tenere un pennello e usare uno specchio, no?», gli rispose orgoglioso. Quindi alzò leggermente le natiche e si avvicinò al busto, portando le mani dell’altro sul proprio petto. Fu allora che soddisfatto si distese nuovamente su Harry e lo baciò velocemente sulle labbra. Con tono allegro concluse: «Ora tocca a te decidere cosa fare.»
    Ed Harry fece la sua scelta.

    Quando Harry uscì dalla doccia ancora gocciolante, i lunghi ricci castani gli ricadevano sulle spalle e l’asciugamano bianco stretto in vita era l’unico indumento da lui indossato: a Austin non dava mai fastidio vedere pozze d’acqua per la casa, diceva che la rendeva vissuta e che tanto prima o poi si sarebbero dissolte da sole con il calore; quello che odiava era che il vapore uscisse dal bagno per invadere la grande stanza da letto, per cui Harry ogni volta lasciava la finestra aperta per farlo uscire.
    Eseguì questa routine anche questa volta.
    Harry adorava quel bagno, era enorme, pulito ed straordinariamente ordinato; tutti i mobili erano stati scelti con gusto e classe. Regnava il verde, dal verde smaltato delle grandi piastrelle che componevano il pavimento, alle sfumature metalliche del mosaico alle pareti, ma forse la figura più straordinaria la faceva l’enorme vasca di marmo scuro a tinte smeraldine con i rubinetti dorati. Harry adorava farci lunghi bagni rilassanti, mentre Austin preferiva la doccia del bagno degli ospiti.
    Ma dov’era Austin?
    Nel salone principale non era tornato e non era nemmeno in quello secondario, più piccolo e intimo con quelle deliziose poltroncine rosse e il tavolino cinese sul cui centro si trovava sempre una rosa nera essiccata e riposta in un cubetto d’ambra rosa. Aveva guardato anche in cucina, le borse erano dove le aveva lasciate, Austin non era andato a fare uno spuntino di mezzanotte. Ma se non era né in camera da letto, in nessuna delle camere di quel piano e nemmeno al pian terreno, dove poteva essere?
    Harry allora si diresse in mansarda, dove ad attenderlo ci fu la luce della fiamma di una piccola lanternina a gas, mentre il giovane ereditiere era disteso sul tappeto intento a giocare con qualcosa al portatile, bello comodo sui grandi cuscini che si era preso dal magazzino a fianco della grande finestra a rosone.
    «Ciao Micetto», lo salutò Harry mentre si distendeva al suo fianco, «A che giochi?»
    Senza staccare lo sguardo dal videogioco, solamente fermandosi dal muovere ulteriormente il suo personaggio, tirò un piccolo calcio sul fianco dell’ospite: «Cazzo, Harry! Mettiti un asciugamano sotto che sennò mi lavi tutto! È là, sul sofà. Prendilo e distendilo dove ti vuoi mettere.»
    Harry tirò un sospiro di rassegnazione e lo accontentò. Quindi gli chiese a cosa stesse giocando.
    «Non è nulla, è solo uno stupido videogioco che ho trovato cercando su Google. Sai che mi sto esercitando per la prova di Italiano no? Bene, ho trovato questo piccolo videogioco in un forum horror, credo che questo si chiami… Terrifier, o qualcosa del genere. Certo, non capisco perché profanino la nostra lingua per una cazzatina del genere: non potevano usare una parola italiana?»
    Harry osservò lo schermo. Il videogioco come grafica gli ricordava uno dei titoli della Nintendo, quella ai tempi del Nintendo, anche se era tutto ambientato ad Halloween. «Di che parla?», chiese interessato.

    Austin scrollò le spalle. «La trama è inutile in giochetti simili. I dialoghi pure sono abbastanza scontati, e per essere un prodotto scritto in madrelingua sono abbastanza sicuro contenga degli errori di grammatica. Ma non ne sono sicuro, non sono italiano io, lo studio solo.»
    Non soddisfatto, Harry alzò il braccio e afferrò la folta chioma bronzea del moroso, e la tirò in modo da costringerlo a distogliere lo sguardo dal computer portatile e a guardarlo negli occhi; quindi lo baciò e gli sfiorò il collo; Austin rispose emettendo un suono simile alle fuse, che riusciva a riprodurre grazie a una particolarità delle sue corde vocali, diceva fosse un talento di famiglia, da parte di padre.
    «Micetto, se vuoi domani mattina la pappa, dimmi di cosa parla. Sennò me ne torno a casa.», chiarì con determinata e spiazzante calma. Poi aggiunse vedendo la sua reazione: «Stai tranquillo che lo farò, non mi importa che ci sia il coprifuoco a quest’ora!»
    Al ‘micetto’ non restò altro che parlare, nel frattempo riprese la partita e scansò un morto vivente.
    «Nulla, io sono un ragazzo in un mondo fantastico che vuole partecipare a una sfida in un labirinto, per poi scoprire che chi tocca il premio si trasforma in mostro. Allora deve fermare tutto distruggendo… una grande zucca sottoterra nelle catacombe e scappare dagli zombie.» Austin sorrise soddisfatto, con la luce dello schermo che rendeva smeraldi brillanti i suoi occhi così tanto di natura cangiante. Poi aggiunse che se si voleva si potevano cercare alcuni costumi ma che lo aveva scoperto per caso durante il primo labirinto e quindi aveva lasciato perdere.
    Harry allora lo abbracciò soddisfatto, inumidendo volutamente il tessuto di quel suo orribile pigiama a righe con il proprio corpo ancora bagnato. «Bravo ragazzo, domani avrai il dolcetto!»
    I due rimasero l’uno a giocare e l’altro a guardare per un po’ di tempo, poi Harry asciutto si tolse l’asciugamano dalla vita e si prese la palandrana, sempre posta sul sofà, mentre Austin aperte le finestre quel tanto che serviva per far passare una corrente d’aria lo raggiungeva per fumare prima di andare a dormire.
    Fu allora che un’ombra sgattaiolò dentro al bagno del primo piano dalla finestra lasciata aperta ed entrata nella camera del ragazzo si nascose sotto al letto, ma loro non sentirono nulla, erano troppo impegnati a constatare i danni che il Tivid aveva apportato alle loro vite.

    «Lo studio procede bene, non è quello il problema.», spiegava Austin tra una tirata e l’altra, «Ma mi manca la motivazione. Sai che cosa vuol dire stare ore davanti a uno schermo senza potersi confrontare con gli altri di persona?»
    Harry lo abbracciò, forte, e gli scostò una ciocca bionda dagli occhi per poterlo guardare nelle pupille: «Posso immaginare. Dopotutto, in questo periodo sono moltissimi gli studenti che stanno lasciando il college, il numero è molto alto.»
    «Sul serio?»
    «Sì, c’è stato un forte aumento, quasi del venti per cento. Gli studi riferiscono che i ragazzi non si trovano a loro agio a interfacciarsi per studio con un monitor e che la motivazione cala. Dopotutto, tu ne sei un esempio.»
    Austin scosse la testa, pur nella penombra del lanternino a gas che illuminava la mansarda era visibile in quel viso così fresco e felino una punta di amarezza, di sconfitta. Commosso, Harry gli accarezzò la guancia e lo portò sul proprio grembo, per farlo rilassare; anche se egli stesso aveva le proprie gatte da pelare.
    «E tu, Harry, hai trovato lavoro? Hai una lunga esperienza, hai iniziato a lavorare presto, perché non trovi nulla?»
    Harry sospirò e guardò fuori dalla finestra, il cielo stellato che si stagliava sugli alberi di pini e il recinto di metallo attorno alla proprietà.
    A quel punto nessuno dei due stava più fumando, l’uno era troppo rattristato e l’altro intento a capire come tirare avanti con la sua vita: il Tivid era stato pesante, aveva distrutto qualsiasi loro abitudine e gli aveva stroncato qualsiasi carriera avrebbe potuto provare in quel ramo ormai fermo da mesi. Nessuno dei due fumava più, le sigarette giacevano nelle mani, inutilizzate.
    A una certa, Austin si alzò e sciolse il nodo della palandrana del proprio moroso, rimirò il corpo che aveva imparato a memoria e lo abbracciò forte. Quindi prese il portatile e condusse il moroso a letto, in camera, per fargli provare il videogioco e poi andare a dormire. Era stanco, voleva solo il caldo corpo di Harry su cui addormentarsi.
    «Ma è divertente!»
    Alla fine Harry arrivati in camera si era messo il paio di boxer che Austin gli aveva preparato sul lenzuolo e si era messo sotto le coperte calde, a provare il videogioco Terrifier 2.
    «È veramente divertente! È vero che devo anche trovare dei costumi, li adoro! Il più carino è quello di Freddy Krueger, gli altri si confondono tra di loro. E Ghostface di profilo è veramente inquietante!»
    Il biondino guardava l’altro da disteso sui soffici cuscini foderati di piume di cigno: Harry era proprio preso, era chino sul portatile e un’espressione a dir poco entusiasta seguiva con passione i movimenti del personaggio su schermo, mentre le dita si muovevano frenetiche per andare avanti nei labirinti. Ogni tanto si girava verso Austin e gli diceva cose del tipo «Ma lo sapevi che se dai qualcosa da mangiare al gatto nero quello ti segue?», oppure «Ma dove sta quel cazzo di costume mancante? Ho guardato dappertutto! Cosa? In un cesso? E chi cazzo cercherebbe in un cesso? Che gioco di merda… Che frustrazione!» per poi rimanere sempre colpito dalla grafica, dagli ambienti suggestivi e dal primo labirinto con il suo tappeto rosso e i candelieri fantasmi. Solo una volta lo aveva apertamente criticato, subito dopo un jumpscare perché «non posso concentrarmi sulla ricerca per poi sentire uno stronzo che mi urla addosso dal nulla! E che palle, Cristo!»
    Ma l’esperienza gli era piaciuta.
    Soddisfatto, Harry chiuse il videogioco e il portatile e lo mise sul comodino. Quindi si avvicinò a Austin, lo accolse sotto al proprio braccio destro con fare protettivo e dopo aver spento le luci si addormentò con il ragazzo appoggiato a lui: adorava sentirne il peso sul petto.
    I due avevano superato quell’anno insieme, un anno di privazioni e sofferenza, un anno che aveva confermato lo stato pandemico con più di mille morti solo in quell’estate in America. Ma loro erano sopravvissuti e ora dormivano sereni e felici.
    Così sereni che nessuno dei due sentì sfortunatamente l’orribile ringhio mentre una lunga mano nera artigliata usciva da sotto al letto. Una mano di morte, molto più terrificante di Bloody Jennifer ma molto più reale.
    Erano sopravvissuti al Tivid, ma forse non alla notte. Non così sereni.
    Forse.



    Il racconto nasce come partecipazione al contest di Halloween 2021 del forum Horror da Paura, anche se non è stato particolarmente apprezzato dall'utenza. Per me è stato importante raccontare una coppia gay senza stereotipi pur puntando molto sull'eros, per narrare un argomento che su quel forum non è molto amato.
     
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