I due esploratori

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    Alexa e Thomas camminavano insieme, lentamente, nella nebbia che aleggiava in quella valle scura.
    I due amici avevano accettato la missione di buon grado sia per dimostrare di essere sempre i migliori sia per esplorare nuovi territori; ma quella era una terra particolare: erano partiti solo loro due perché si diceva essere estremamente pericolosa e avevano dovuto pure lasciare a casa molti attrezzi del mestiere, che erano soliti usare in tali situazioni. Alexa e Thomas avevano spiccato il volo il mattino precedente, dopo aver salutato affettuosamente i loro amici della Gilda e della fattoria. Avevano volato tutto il giorno per poi accamparsi al limitare della valle alla sera; speravano che con l’alba la nebbia che avvolgeva quel posto dimenticato si sarebbe levata, ma niente. Gli toccava avventurarsi praticamente al buio. E così erano partiti per l’esplorazione vera e propria.
    «Thomas… Ma secondo te da quanto staremo camminando? Questo posto mi rattrista molto, e molte volte le mie ali si sono schiantate contro gli arbusti. Mi fanno male, mi fanno male anche le zampe perché è pieno di sassi, qui! Non credevo ci potessero essere tanti sassolini in una foresta!»
    Thomas rivolse lo sguardo verso la compagna di avventure ma poté scorgerne solo la sagoma. Quel posto gli rimembrava la solitudine dei suoi primi anni di vita, prima di conoscerla. Ma per fortuna era ancora in grado di sentirla, anche se la sua voce gli giungeva come ovattata. «Non lo so. Aspetta.» Fece un rapido conto, pensando a come la coltre grigia si fosse scurita lentamente con il passare delle ore. «Forse quindici ore!»
    Alexa sbuffò, osservando il rigolo di fuoco che le uscì dalle fauci. Quindi si distese per terra, per riposare le zampe affaticate. «Troppo tempo. E siamo solo nel tardo pomeriggio, perché è così tetro qui?»
    Thomas le si avvicinò e con un movimento arruffò tutte le piume nere, per sgranchirsi i muscoli. Quindi, a distanza di contatto, osservò l’amica: era stanca e demotivata, erano vecchi ormai per missioni del genere! Sospirò. «Perché siamo in una valle. È quasi sempre in ombra qui sotto. Non per niente la chiamano la Valle della Depressione. Bel nome, eh!» Quindi si tirò via dal collo la bisaccia usando in equilibrio la zampa destra e la tenne a mezz’aria sollevandola con un lungo dito della zampa, per poter rovistarvi dentro. Fece rotolare una mela succosa verso Alexa: «Tieni, mangia!»
    Alexa eseguì. Poi ripresero il viaggio.

    Alexa e Thomas arrivarono all’alba del giorno dopo davanti ai resti di un villaggio, il cosiddetto Villaggio Dimenticato.
    Durante la notte non erano riusciti a riposarsi: la nebbia con lo scurire della sera si era fatta sempre più fitta e se Alexa con le sue grandi fornaci in gola poteva stare sempre al caldo, il povero Thomas si era arruffato tutte le penne nere dal freddo e l’umidità. Così, dopo alcune ore passate inutilmente fermi a prendere ogni genere di umidità e brivido, i due avevano desistito e si erano rimessi in viaggio, comunque contenti di esplorare insieme come un tempo. Il culmine della soddisfazione fu quando oltrepassarono i resti di mura antiche rischiarate dalla luce dell’alba: erano arrivati al punto focale della loro esplorazione.
    «Allora, secondo te dove dobbiamo andare?», chiese Thomas mentre con una zampa rileggeva la pergamena su cui avevano annotato i dettagli della missione, «Il signor Mime ha detto che stava girovagando con il suo amico e suo figlio in un grande palazzo piramidale… Ma se è tanto grande perché non vediamo nulla?»
    Alexa sbuffò, facendo uscire del fumo dalle fauci feroci. «Bisogna essere sciocchi a girovagare da soli in un posto tanto alieno alla vita come questo, e così lontano dalla civiltà! Comunque, secondo me dovremmo volare, per guardare il villaggio dall’alto. Forse così notiamo qualcosa.»
    I due, così, spiccarono il volo, lei con un salto sulle possenti zampe e poi planando sulle grandi ali rosse e rigide a forma di ascia, lui sbattendo le grandi ali piumate per prendere quota e seguirla. Ad Alexa quasi vennero le lacrime agli occhi, le luccicavano sempre gli occhi quando volavano insieme, si ricordava ancora di quanto lei volesse seguirlo nei cieli fino a toccare l’infinito da piccoli, quando si erano incontrati; lei era senza ali, lui era un piccolo corvo spaurito e senza nessuno. Insieme, avevano creato una famiglia e avevano realizzato l’uno i sogni dell’altra.
    Quindi i due amici stavano sorvolando il complesso di rovine del Villaggio Dimenticato. Una volta doveva essere stato un grande centro abitato, ricco e pieno di palazzi lussureggianti, dove il mercato non mancava mai e le terre erano coltivate per ogni tipo di Bacca. Ma il vulcano sui cui piedi il villaggio si basava, aveva eruttato e i lapilli e il fumo avevano reso per molti secoli quel posto una landa desolata; nemmeno gli amanti della lava e del calore ci andavano mai, nessuno poteva sopravvivere in un tal posto. Poi con il passare del tempo, la terra si era ricoperta nuovamente di verde, con piante pioniere per prime e infine i piccoli arbusti e gli alberi.
    Quando insoddisfatti decisero di sorvolare anche il complesso collinare, Thomas fischiò in segno di approvazione: non avevano potuto scorgere la grande piramide solo perché il Villaggio Dimenticato si estendeva anche dietro alla collina. Là dove probabilmente c’erano le banche e le tombe dei Re Caduti.
    I due quindi atterrarono in vicinanza al titanico edificio di pietre e roccia, ricoperto di edera, davanti a una grande apertura che dava all’interno della costruzione.
    Alexa mosse a lungo la coda, in segno di nervosismo. Thomas invece si lisciò le piume rosse dello strato interno delle ali e controllò che la bisaccia fosse ancora incastrata alla zampa destra, che non fosse caduta via. Per fortuna era tutto ok.
    «Allora, amica mia, andiamo dentro! Sei pronta?»
    La dragonessa lo guardò dubbiosa, poi con le fauci strappò da un albero vicino un ramo e ne incendiò la punta; diede la torcia al grande rapace, che la tenne per il grande rostro: «No, non lo sono. Ma dobbiamo farlo, siamo professionisti. Riesci a incastrarla nell’imbragatura che tengo sulla schiena?»
    «Certo! Nessun problema!»
    E i due, assicurata la torcia alla schiena di Alexa e assicuratisi così un’illuminazione costante, entrarono nella spettrale tomba piramidale in cerca del criminale.

    Infiniti corridoi nel buio si estendevano per chilometri, lunghissime file di mattonelle ingrigite da strati di polvere laddove i lapilli non erano potuti penetrare. Una gabbia di roccia e mattoni che racchiudeva un labirinto esplorato da pochissimi, fino in fondo da nessuno estraneo al luogo. Alle pareti erano appesi logori arazzi raffiguranti i tempi andati, con il Sommo Dio dalle mille mani che si ergeva a Sole e Luna e tutto il Creato mentre le sue creature lo adoravano in prostrazione. Ogni tanto alle pareti erano presenti dei bassorilievi raffiguranti battaglie leggendarie, come quella dei Prescelti contro il Signore del Tempo impazzito, o i tempi antichi in cui il Grande Titano aveva distrutto la Pangea trascinando sulle proprie spalle i continenti.
    Tuttavia, Alexa e Thomas non erano per nulla esperti del luogo e dopo una mezz’ora e all’ennesimo bivio decisero di fermarsi e fare il punto della situazione.
    «Allora», cominciò l’enorme corvo dalle piume blu e nere mentre dalla bisaccia prendeva una pergamena vuota e uno stilo, per segnare il tracciato con estrema precisione, «Finora siamo sempre rimasti in piano, a parte una volta che siamo scesi per una rampa di scale; quindi, possiamo presumere che siamo sotto terra al momento, giusto Alex?»
    La dragonessa si guardò intorno e scosse la testa. «Sempre che il pavimento non fosse leggermente inclinato, verso il basso o verso l’alto. Se così fosse, avremmo potuto salire o scendere senza nemmeno accorgercene.»
    «Acuta osservazione, amica mia. Cosa ha detto il signore Mime? In che punto era?»
    Alexa aprì le mascelle argentee ed emise un poderoso ruggito che fu subito seguito da un brontolio proveniente dal fondo della gola: «Ma una volta tanto, quando parliamo con gli acquirenti, ascolta! Loro non sono entrati nella piramide, ma hanno visto qualcuno entrarvi!» Poi si calmò e rifletté: «Comunque, guardati attorno, vedi orme che non sono nostre?»
    Il grande rapace guardò il pavimento impolverato davanti e dietro di loro e scosse il capo, con la grande cresta piumata che ondeggiava al movimento dell’aria: le uniche impronte di zampe impresse nella polvere erano le loro. Ma allora, il ladro? Avevano sbagliato svincolo e lo avevano perso? O non era mai veramente entrato, o non lasciava nemmeno impronte!
    Thomas deglutì, guardando all’amica con un pelino di inquietudine. «Questa non è una bella notizia, mi spieghi come…»
    La frase gli morì nel becco ricurvo, quando maligne risate risuonarono dal corridoio che stavano percorrendo. Allora i due esploratori si guardarono negli occhi, annuirono e si affrettarono in quella direzione.

    Alexa e Thomas giunsero in una grande sala rettangolare, la torcia che la dragonessa portava all’imbragatura allacciata sulla schiena non poteva illuminarne nemmeno una piccola porzione dalla vastità. Nel buio si scorgevano immense colonne di marmo bianco, ingrigite dalla polvere e dagli anni; in fondo alla sala, qualcosa rifletteva la luce del fuoco mobile.
    «Guarda là!», gridò Thomas indicando il riflesso metallico, «C’è qualcosa!»
    «Dai, andiamo a vedere!», ribatté l’amica con impazienza ed eccitazione: stavano per trovare qualcosa, se lo sentiva.
    I due si affrettarono, lei correndo sulle quattro zampe a una frenesia senza limiti, lui sbattendo le grandi ali per sbalzare più in là.
    Per arrivare dall’altro lato della grandissima sala circolare non oltrepassarono solo le colonne, ma anche grandi costruzioni di pietra contenenti sarcofaghi e ricchezze dei Re Caduti; era peccato mortale profanarli, una maledizione si sarebbe scagliata contro i tombaroli che avessero osato tanto. Fu per quello che sebbene il palazzo piramidale fosse stato visitato parecchie volte nei secoli da sventati avventurieri, quelle tombe non avevano mai sentito il tocco di un mortale dal momento della loro eterna sigillatura. Anche i ricami di lana rossa sbiadita posti ad ornare le costruzioni in roccia e le grandi torce di ferro nero per eventualmente illuminare ciascuna tomba erano al loro posto, come la stele con la descrizione della tomba e del suo padrone. Alexa e Thomas le oltrepassarono, sicuri che non dovessero preoccuparsi di un agguato da uno di simili nascondigli inviolabili.
    Così, i due giunsero davanti al metallo riflettente e scoprirono che era un’armatura d’oro ricoprente la statua granitica di un grande centipede dalle fattezze misteriose: era troppo grande per capire esattamente la sua forma.
    «Ecco cos’era quel bagliore! Giratina, il Signore dell’Altro Mondo!», esclamò Alexa arrivando sotto alla statua, fissata al soffitto per dominare l’intera sala. Poi la dragonessa si rivolse all’amico: «Sai chi è, vero?»
    Il grande corvo dilatò le pupille e si arruffò tutte le piume. Fece un passo indietro, squadrò la statua e poi rivolse lo sguardo alle tombe appena oltrepassate. Quindi rispose all’amica: «Certo! Il Signore dei Morti, no?»
    «No! Ma credo sia lo stesso errore di chi ha costruito questo posto… Molti lo credono il Signore dei Morti ma in verità presiede al ciclo delle cose, alla normalità: il suo mondo permette al nostro di esistere perché in esso la vita e la morte non esistono. È complementare al nostro. Non può essere il Signore dei Morti perché lui non conosce né la vita né la morte!»
    «Ah. Però, la statua è inquietante forte. Ci stava bene come Dio dei Morti…», borbottò il corvo dalle piume nere e blu socchiudendo a malapena il becco a rostro.
    Ma la discussione non rispondeva al quesito fondamentale: avevano sentito un ruggito provenire dalla sala! E di certo non poteva essere quella statua! O almeno, i due speravano che il ruggito non provenisse dal titano di granito e oro! Così, i due iniziarono a perlustrare i muri del perimetro della sala mortuaria, cercando un’apertura o un nuovo corridoio.
    Lo trovarono, era un buco nel muro. Troppo piccolo per la grande stazza di loro due ma abbastanza grande per qualcuno di taglia nettamente inferiore.
    «Idee per entrare?», chiese titubante Thomas.
    Alexa provò a far entrare il suo grosso muso squamoso, e dopo alcuni tentativi riuscì a farcelo passare rompendo un po’ la parete attorno. Ma ne uscì subito, urlando: due occhi rossi nell’oscurità l’avevano violata nella mente spaventandola a morte! E poi, un ruggito!
    I due arretrarono, intimoriti. Se la dragonessa ormai era troppo nervosa per tentare nuovamente di entrare nella nuova stanza, il grande corvo prese la ricorsa e con un assalto sfondò totalmente il muro cosicché riuscì finalmente a entrarci con facilità. Nella penombra della luce della torcia, tenuta da Alexa nella camera tombale, notò di sfuggita qualcosa oltrepassare il muro a destra, pur non essendoci altre aperture; ma almeno poté osservare bene il cumulo di ricchezze accumulate in quella piccola camera secondaria della grande sala mortuaria: tesori accumulati in molto tempo di razzie e furti!
    «Alexa, devi assolutamente venire a vedere! Qui…»
    Mentre il rapace si girava trionfante verso l’amica, la frase gli morì nel rostro: Alexa era riversa a terra, profondamente addormentata vicino alla statua di Giratina. Come Thomas le si avvicinò, sentì una voce dalle tombe che lo chiamava. Si voltò. Intravide qualcosa simile a un lenzuolo viola con delle perle rosse incastonate alla sua metà volare verso di loro, che emise un raggio bianco; e quando il raggio bianco colpì Thomas dopo aver colpito Alexa, anche lui perse i sensi.

    «Alex, dove sei?»
    Thomas era solo, in mezzo a una landa grigia. Non sapeva come ci fosse finito, sapeva solo che ci si era svegliato; come da piccolo, non sapeva come fosse caduto dal nido, sapeva solo che non aveva più ritrovato la strada di casa. Sentiva dentro di sé un senso di oppressione e solitudine che ormai sperava di aver dimenticato, con quel vento impetuoso e gelido che gli gonfiava e scompigliava ogni singola piuma; se lo ricordava quel vento: quando era pulcino lo aveva cacciato dalla collina dei suoi genitori e lo aveva trasportato fino alla riva del Mar dei Ricordi.
    Una lacrima gli scese, vedendo quella landa morta.
    Fu allora che lo vide. In lontananza, all’orizzonte, una figura longilinea e sinuosa si muoveva minacciosa: c’era qualcosa in essa che lo turbava profondamente. Così, per saperne di più, discese per quello che una volta era un letto di un fiume e si avvicinò ad essa.
    “Chissà cos’è… Sembra quasi un verme che levita. Aspetta… Ma io so cos’è! E viene verso di me!”
    Thomas, terrorizzato, spalancò le ali e con un unico battito si levò da terra, per poi librarsi in cielo per scappare il più velocemente possibile. Ma era dannatamente lento! La figura del centipede ricoperto di teschi lo stava raggiungendo! Sentiva la sua presenza nella corrente d’aria poco distante da lui, percepiva il suo odio e la sua fame! Thomas, quando lo sentì sopra di sé con le enormi fauci aperte pronte a divorarlo, serrò le ali al corpo e scese in picchiata verso il terreno. Ma aveva calcolato male la distanza nella frenesia della fuga e stramazzò al suolo.
    Sentì il Signore dei Morti sopra di sé, con gli occhi sanguigni e le fauci di zanne aperte solo per lui. Thomas era riverso a terra, il dorso contro il terreno e le lunghe zampe uncinate che si muovevano cercando di tenere lontano il predatore, con gli occhi neri sbarrati dal terrore mentre quello lentamente scendeva a cibarsi di lui; dal basso, guardando dentro la bocca famelica e feroce del dio, il povero esploratore poteva scorgere i resti della sua amica che…
    Che…
    Che gli diceva «Sveglia, dormiglione! Sta scappando! Solo tu hai lo scatto abbastanza celere per raggiungerlo!»
    Thomas aprì gli occhi: era nel palazzo piramidale, nella sala mortuaria, e il criminale stava fuggendo! Subito si alzò in volo e nonostante l’enorme apertura alare sapeva che le colonne erano abbastanza distanziate da permettergli un agile movimento, così come le porte erano abbastanza larghe da non ostacolare l’apertura alare.
    Aveva notato che il fuggitivo era in grado di attraversare i muri e così quando cercò di coglierlo di sorpresa si preparò in anticipo e sfondò il muro con un assalto aereo poderoso. Poi svoltò l’angolo e scese al piano inferiore, non perdendo mai di vista quel lenzuolo viola che tanto velocemente si muoveva levitando sulla cortina di polvere del palazzo. Era buio, dannatamente buio, ma le perle rosse della preda si vedevano nell’oscurità e il cacciatore di teste nell’oscurità, a differenza dell’amica, ci vedeva benissimo!
    E l’unica volta che il nemico lo scartò, Thomas invocò dalla mente un’energia pulsante, di pura tenebra, e la scagliò contro il nemico che colpito stramazzò al suolo. Felice, lo raccolse con le zampe uncinate e lo portò dall’amica, che lo aspettava ancora nella sala con la grande statua di Giratina appesa a dominare il tutto.
    Alexa gli sorrise: grazie alla sua velocità, avevano nuovamente concluso con successo una missione affidata a loro. Sempre i migliori.

    Erano stati giorni duri, quelli in cui Alexa e Thomas avevano viaggiato per catturare il ricercato Magio, famoso ladrone e ipnotista, capace di far perdere lucidità perfino ai più saggi ed esperti. Ma ce l’avevano fatta e avevano pure recuperato il Fantascrigno del signor Mime!
    Felici e vittoriosi, dopo tutte le celebrazioni e i riconoscimenti, i due lasciarono la Gilda e uscirono da Borgo Tesoro, seguendo la strada verso il mare. E lì, a pochi passi dalla spiaggia e dalla Grotta Marina, dove i due si erano incontrati molto tempo fa, entrarono nella loro fattoria dove tutto il resto della loro famiglia li accolse festanti.
    Erano a casa. La loro casa e loro, due fratelli separati dal nascere in famiglie diverse ma ritrovatisi per il destino, erano felici di averla costruita insieme.

    FINE



    Questo racconto nasce come FanFiction della saga videoludica di Pokémon Mistery Dungeon, da cui ho preso l'idea e le ambientazioni. Inizialmente colpito da un video sul tema della memoria e del potere dei luoghi abbandonati, alla fine durante la scrittura mi sono lasciato trasportare invece dai temi della solitudine e della famiglia, non si sangue ma d'affetto.
     
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