Il blog di Tony

Posts written by Tony!

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    Streghe, Esseri fatati ed Incantesimi nell'Italia del Nord: La magia popolare delle saghe italiane dagli Etruschi all'800 è una raccolta delle tradizioni e del folclore italici sopravvissuti nei secoli.

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    Commento:
    Il libro è suddiviso in due sezioni: la prima parte tratta di Dei e Folletti, mentre la seconda di tutte le pratiche legate alla magia e alle credenze popolari; il tutto è raccolto in diversi capitoletti.
    Leggere questo libro è stato un bel viaggio nelle tradizioni italiche. Devo ammettere di averlo comprato sperando di trovare qualche mostro o strega particolare per abbellire i miei racconti dark fantasy, ma invece ho trovato una serie di nozioni che mi hanno fatto riflettere non poco: tutte le tradizioni (anche alcune cristiane) derivano da credenze romano-etrusche insieme, più raramente, ad alcune di altri popoli come quelli arabo o assiro.
    La parte più interessante, tuttavia, è stata quella sugli incantesimi, gli esorcismi, le divinazioni e gli amuleti. Grande dovizia di particolari stimola il lettore a riflettere anche su episodi accaduti realmente riguardanti isterie di folle oppure su oggetti appartenenti alle antichità che una volta venivano usati per scopi diversi da quelli che ora noi conosciamo (per esempio, le campane delle Chiese).
    La lettura è stata molto appassionante, si vede la sete di sapere e divulgazione dell'autore, sapientemente curato dagli editori del libro (infatti, il manoscritto deve essere di qualche secolo fa). Unica pecca è la revisione del libro che deve essere stata minima, essendo il testo cosparso di errori di battitura.

    Ma è una bella lettura, certe conoscenze le sapevo ma per altre è stato un bel viaggio. Lo consiglio!
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    Deep Freeze è un videogioco gratis giocabile su siti come Giochi XL, a tema natalizio.

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    Deep Freeze vede Babbo Natale muoversi in 20 livelli, di cui 4 sono con un Boss ciascuno, affrontando i nemici con la sua pistola spara-neve (per creare delle grosse sfere di neve con cui attaccare gli altri nemici) e trasformandoli in dolci e giocattoli da raccogliere. Come struttura è un classico platform: ci si muove su piattaforme utilizzando le quattro frecce e si spara premendo la barra spaziatrice.

    I nemici non sono sempre gli stessi presenti in tutti i livelli ma sono in difficoltà crescente, legata sia alla velocità di spostamento sia al range dell'attacco: i nemici più facili sono ovviamente le volpi del primo livello, mentre quelli più fastidiosi non sono gli spettri ma i diavoletti.

    I boss sono quattro e sono tutti colpibili più volte. Secondo me il boss più difficile è il terzo (il vampiro) perché si muove costantemente e per com'è strutturato il livello è più facile uccidere tutti i nemici con un'unica palla di neve piuttosto che risparmiarne uno per attaccare il boss; il boss più interessante, invece, è il folletto, l'ultimo: il livello è ben strutturato e c'è un buon equilibrio tra i nemici e le fasi di fuga.

    Come difficoltà in sé è facile anche se lo spostamento dei nemici è totalmente randomico (così come l'apparizione nel livello) e quindi è facile essere colpiti per caso. Si hanno solo dieci vite e un limite di tempo massimo per livello.

    Interessanti, invece, sono i potenziamenti:
    -vita extra;
    -più danno (velocizza la trasformazione del nemico in palla di neve);
    -più range (lo sconsiglio perché tende a oltrepassare i nemici troppo vicini);
    -più velocità di spostamento.

    Io consiglio Deep Freeze, è un bel gioco gratis; almeno su Giochi XL la pubblicità è solo prima dell'avvio del videogioco (non della partita, per cui una volta avviato non si è più interrotti) e certe volte non c'è neppure. Molto carino!

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    CITAZIONE (~Dark Suicune @ 26/11/2020, 17:33) 

    26 NOVEMBRE 2020

    POKÉMON DARK COMPIE 10 ANNI DALLA SUA FONDAZIONE!

    LhDjGqV

    Tanti auguri di un buon decimo compleanno, Pokémon Dark!


    scritto anche là, complimenti^^
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    Il diavolo veste Prada (The Devil Wears Prada) è un film del 2006 diretto da David Frankel, il cui soggetto è tratto dall'omonimo romanzo di Lauren Weisberger.

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    Trama:
    Il Diavolo veste Prada vede Andrea, detta da tutti Andy, cerca lavoro come giornalista dopo essersi laureata a pieni voti presso una prestigiosa università; dopo diversi tentativi, finalmente viene richiamata dalle risorse umane di Runaway per lavorare come segreteria di Miranda Priestly. Quello che non sa è che il suo capo è il Diavolo in persona!

    Cast principale:
    Meryl Streep: Miranda Priestly
    Anne Hathaway: Andrea "Andy" Sachs
    Emily Blunt: Emily Charlton
    Stanley Tucci: Nigel
    Adrian Grenier: Nate
    Simon Baker: Christian Thompson

    Informazioni generali:
    Anno 2006
    Durata: 109 min
    Regia: David Frankel
    Soggetto: dall'omonimo romanzo di Lauren Weisberger
    Sceneggiatura: Aline Brosh McKenna
    Produttore: Wendy Finerman
    Fotografia: Florian Ballhaus
    Montaggio: Mark Livolsi
    Musiche: Theodore Shapiro, AA. VV.
    Costumi: Patricia Field

    Commento:
    Il Diavolo veste Prada è uno di quei film che ti rasserenano la giornata, tu lo vedi trasmesso in televisione e dici “Sì, lo voglio vedere” perché, alla fine, la struttura del film è quella della fiaba e tu guardandolo lo capisci: nella sua normalità, la protagonista realizza i propri sogni di carriera riuscendo nel lavoro che tutte vorrebbero ma, capendo saggiamente di ricercare altro, si licenzia trionfalmente con un sorriso sulle labbra. Ti mette il buon umore e ti fa sognare!

    Adoro Il Diavolo veste Prada, secondo me è una bellissima commedia che è narrata come una fiaba, dentro al favoloso e ricco di bellezza mondo della moda.

    La protagonista è interpretata da Anne Hathaway in splendida forma, qui la classica ragazza della porta accanto; inoltre, come in altri film in cui ha recitato, anche qui si presta nella trasformazione da fogna a fregna. Il suo personaggio durante l’arco del film subisce un profondo cambiamento, rivelando un carattere molto meno forte di quello che credeva di avere millantando la sua bella laurea e criticando le sue colleghe: infatti, di concreto inizia ad avere veri risultati solo a metà film, quando per puro caso dice il nome giusto al galà del capo. Peccato che se non fosse stata aiutata prima si sarebbe dimessa (colloquio con Nigel), poi sarebbe stata licenziata (aiutino di Christian) e infine se Emily non fosse stata fragile non si sarebbe presentata ad aiutare Miranda al galà; inutile girarci intorno, Andy di suo non è molto brava nel suo lavoro. Per fortuna, Anne Hathaway è una perla splendente e regge benissimo il ruolo, grazie ad espressioni da cagnolino bastonato e un sorriso smagliante!

    Gli altri personaggi non sono da meno.

    Emily, presentata in ogni scena con un dettaglio di moda sempre leggermente differente nel suo abbigliamento, rappresenta benissimo il rapporto di amore e odio che lega le due colleghe: mostrata sempre agitata, le due non si sopportano molto anche perché hanno entrambe lavori molto differenti, lavori che l’una invidia all’altra. Di Emily in verità non sappiamo molto, ma conosciamo il suo amore per la moda (infatti, rinfaccia spesso a Andy di vestirsi come ‘na befana) e del suo sogno di andare a Parigi, come si vede grazie allo sfondo del suo computer. Inoltre, solo con Andy tiene un comportamento glaciale, andando anche a pranzo con le altre colleghe, oltre ad avere una vera e propria venerazione per Miranda. Qui Emily è veramente brava, è una delle poche attrici che incarnano perfettamente il personaggio letterario, o almeno come me lo ero immaginato: ha il phisique du role perfetto, tra uno sguardo gelido ma espressivo e una linea filiforme.

    Miranda, invece, è l’icona che tutti noi conosciamo. Interessante che la scena della sua presentazione la veda prima citata (con la gente che va nel panico) e infine che Miranda venga mostrata in una serie di inquadrature particolareggiate partendo dai tacchi fino ad arrivare al viso; interessante è, anche, che il viso venga mostrato solo quando esce dall’ascensore e finalmente entra nella redazione della sua rivista di moda. Stakanovista e perfida, scorretta ma anche carismatica, con toni leggeri e quasi sussurrati semina il panico tra i suoi sottoposti e i suoi collaboratori, che siano importanti stilisti o disperate segretarie; celebre anche la frase “Everybody wants to be us” a fine film, in cui dimostra che tutto ciò che fa lo compie per il bene della rivista e non per se stessa, avendo un comportamento molto di basso profilo: infatti, una volta riconosciuto il valore di Andy, non si tira indietro dal favorirla perché alla fine vede la scelta migliore anche a costo di fare scelte spiacevoli. Iconica e sferzante, Meryl Streep regala alla storia del cinema un personaggio che ha ispirato molti con un solo film entrato nell’immaginario collettivo, anche grazie a una scelta stilistica che non la vede mai relegata a vestirsi con un marchio di moda distinguibile: lei, infatti, è unica.

    La narrazione delle inquadrature:

    Il Diavolo veste Prada scorre molto tranquillo anche se ha un montaggio molto veloce: infatti, l’inquadratura più lunga dura meno di 20 secondi ed è posta ovviamente nel momento di riflessione dopo il galà, a metà film.

    Una serie di particolari vengono mostrati, sia dal punto di vista dei personaggi sia per mostrare i particolari dei capi di moda sia le loro espressioni; inoltre, vengono mostrate anche inquadrature più larghe per mostrare le panoramiche e gli ambienti nella totalità dei loro spazi.

    Secondo me la scena più bella, senza spoiler, è quando lei a casa rimane nella luce a guardare delle foto, mentre un’altra persona la guarda e si allontana da lei ed entra nelle tenebre; tutto questo è in silenzio, ma la scena è densa di significati.

    Un’altra scena molto bella è quella al minuto 1h19′, scena molto emozionale in cui capiamo la gravità e la sensibilità del momento grazie alla telecamere che si avvicina alle due persone dialoganti, più vicina alle loro espressioni ad ogni loro battuta.

    Conclusioni:

    Ovviamente consiglio a tutti di guardare questa perla del cinema, è un vero gioiellino!
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    “Ho incontrato molti adulti che sono rimasti bambini dentro, ma mai nessuno come Tim Burton. Ha qualcosa di rassicurante un uomo che si disegna teschi sulle nocche durante un’intervista e che i dirigenti degli studios di Hollywood implorano per produrre il suo prossimo film. Ma se lo fanno è perché pochi registi della generazione di Burton possiedono un’immaginazione così fervida e un talento così ben utilizzato. C’è un po’ di Walt Disney in lui, ma di un Walt Disney in cui il concetto di posto allegro è una caverna piena di pipistrelli.”

    Tim Burton è uno dei registi che apprezzo e di cui ho visto svariati film; infatti, i suoi titoli compaiono spesso nelle mie liste di genere e qui ho perfino parlato del suo primissimo Batman e qui del suo bellissimo Big Eyes!

    Tra i suoi film diretti (non parliamo della sua produzione come non regista che non finiamo più) i miei preferiti sono senza dubbio Beetlejuice, Mars Attacks, Batman e Dark Shadows. Il suo stile mi piace perché parla ai cuori solitari loro malgrado, agli stand-alone della società e a tutte le piccole manie che si nascondono nell’ombra: infatti, quante volte abbiamo visto i suoi ambienti quasi uscire da un incubo (o da un’abbuffata di funghetti allucinogeni)? Quante volte i colori scuri e le ombre imprigionano nella propria solitudine personaggi alienati dal resto del mondo ma desiderosi di un contatto fisico, di amore?

    Tim Burton è un regista visionario, per questo mi piace!^^

    L’occhio del regista

    Tim Burton si definisce una persona molto intuitiva, segue l’istinto e prende le sue decisioni artistiche sulla base delle proprie emozioni.

    Inizialmente iniziò la sua carriera come animatore nella Disney, proprio durante il periodo dell’insuccesso di Taron e la pentola magica e, non essendoci al momento una vera leader creativa fu lasciato da solo a creare e pensare fino all’ideazione del cortometraggio Vincent (che all’inizio doveva essere un libro per bambini); fu quel successo personale ad aprirgli la strada per il suo cortometraggio in live-action: Frankenweenie; e questo corto, che lo fece licenziare dalla Disney, gli aprì le porte di molte altre case di produzione!

    Come artista dietro ai film che dirige, riesce a dare una sua impronta grazie alle sue celebri tematiche pur non essendo mai sceneggiatore di sua mano: lui stesso ammette che se scrivesse da solo ne verrebbe fuori un lavoro troppo personale, troppo criptico. Infatti, pur riconoscendo di essere nato come animatore di pellicole in stop-motion e che queste origini gli hanno conferito uno stile registico originale (per toni e atmosfere), preferisce lavorare per le produzioni filmiche perché ciò lo costringe a collaborare con altre persone: dirigere la stesura delle sceneggiature, convincere i direttori artistici della validità delle proprie scelte, capire e ascoltare le necessità degli attori, capire se sono adatti per il ruolo, informare l’apparato tecnico delle proprie scelte.

    Sapendo ciò, non è strano pensare, per esempio, a film come Nightmare Before Christmas siano diretti da lui! Perché alla fine riesce a rendere sua ogni pellicola e probabilmente come produttore aveva ancora più libertà di scelta.

    Come regista preferisce seguire l’istinto, conosce benissimo le regole basilari e le tecniche, ma crede siano più un’ancora di salvataggio nei momenti del bisogno. Infatti, apprezza l’attore in quanto tale, permette l’improvvisazione (com’è avvenuto per esempio proprio in Beetlejuice) e sceglie le angolazioni e le inquadrature al momento: la carta e la pianificazione sono cose troppo concrete e precise per una realtà astratta e incerta come la nostra! Inoltre, preferisce il grandangolo come il 21mm e in mancanza di quello non va mai oltre il 50mm!

    Stop-Motion, la fabbrica delle meraviglie

    Inoltre, Tim Burton ha due ulteriori pregi.

    Nel 1993 la tecnica della stop-motion subisce un grandioso cambiamento: uscendo Nightmare Before Christmas nelle sale cinematografiche, questa nobile e raffinata arte può finalmente uscire dal buio di cantine e soffitte di oscuri filmmaker indipendenti per viaggiare alla conquista del cinema holliwoodiano e trovare la strada verso le sale cinematografiche di tutto il mondo! Questo film conferisce alla tecnica una valenza culturale rivoluzionaria, anche perché la pellicola è considerata uno dei primi prodotti commerciali più importanti realizzati in stop-motion!

    Inoltre, nel 2005 arriva nelle sale cinematografiche La sposa cadavere, film co-diretto da Tim Burton. Si tratta di un’incredibile rivoluzione tecnica, perché rappresenta il primo film d’animazione interamente ripreso con fotocamere digitali invece che con le ingombranti cineprese tradizionali; inoltre, i personaggi sono animati con la tecnica “Gear and Paddle”, che serve a muovere le teste senza usare la dispendiosa sostituzione delle teste manuale, faticosa e soprattutto estremamente costosa.

    E non dimentichiamoci che nel 2012 Tim Burton è tornato a fare stop-motion con il passo a uno: infatti, Frankenweenie, il corto che lo fece cacciare dalla Disney ma che gli aprì le porte del mondo, è finalmente diventato un film!


    1. Fonti

    DVD di Beetlejuice
    https://en.wikipedia.org/wiki/Beetlejuice#...sburyBurton2006
    Bessoni, S, Stop-Motion: la fabbrica delle meraviglie, Modena, Logos Edizioni, 2014
    Tirard, L. (a cura di), L’occhio del regista: 25 lezioni del cinema contemporaneo, [2009] Tr. it., Roma, Minimum Fax, 2017
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    Beetlejuice è un film di genere tra il fantastico e la commedia nera del 1988, il secondo film diretto da Tim Burton in live-action. Questo gioiellino parla di una coppia di fantasmi che ritrovano la propria casa invasa da una famiglia e che chiede aiuto a un altro spirito, Betelgeuse, per liberare la casa e averla tutta per loro di nuovo.

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    Trama:
    Una coppia di felici coniugi fantasmi, Barbara e Adam, è alle prese con una famiglia di chiassosi e petulanti snob che hanno occupato la loro casa; determinati a tenere tutto per sé il loro piccolo angolo di Paradiso, cercano quindi di scacciarli in vari modi.

    Cast principale:
    Michael Keaton: Betelgeuse
    Alec Baldwin: Adam Maitland
    Geena Davis: Barbara Maitland
    Jeffrey Jones: Charles Deetz
    Catherine O'Hara: Delia Deetz
    Winona Ryder: Lydia Deetz
    Glenn Shadix: Otho

    Informazioni generali:
    Anno: 1988
    Durata: 92 min
    Regia: Tim Burton
    Soggetto: Michael McDowell, Larry Wilson
    Sceneggiatura: Michael McDowell, Warren Skaaren
    Produttore: Michael Bender, Larry Wilson, Richard Hashimoto
    Casa di produzione: The Geffen Company
    Fotografia: Thomas E. Ackerman
    Montaggio: Jane Kurson
    Musiche: Danny Elfman
    Scenografia: Bo Welch
    Costumi: Aggie Guerard Rodgers

    Commento introduttivo:
    Beetlejuice è un film che guardo sempre con molto piacere per come riesce a narrare una storia apparentemente scontata (la tipica casa infestata) con un punto di vista molto innovativo: infatti, non solo Tim Burton crea un mondo spettrale e onirico ma fa vivere l’intera vicenda dal punto di vista dei fantasmi protagonisti in modo tale che non siano loro quelli strani -ma invece l’eccentrica famiglia che si stabilisce nella loro villetta- e che quindi lo spettatore conosca la loro situazione simultaneamente ai protagonisti.

    Tim Burton e il suo amore per la stop motion:

    Definirei Beetlejuice una grande dichiarazione d’amore da parte di Tim Burton verso la stop-motion e il cinema artigianale, capace di creare effetti memorabili con il semplice ma accurato uso di maschere, trucco, cere e fantasia.

    Il film, infatti, si apre con una panoramica del paesino in cui i Maitland vivono e questa panoramica si conclude, dopo un’ellissi, sul plastico raffigurante il paesino nella soffitta della coppia. Questo plastico, che raffigura in modo molto dettagliato la contea in cui vivono, nella narrazione è molto importante e ricorre spesso: infatti, è a causa del plastico che i Maitland escono per il viaggio fatale, è con il plastico che Lydia ha la prima interazione con i fantasmi ed è sempre dentro al plastico che Betelgeuse appare la prima volta e rimane per gran parte della pellicola. Questo plastico, quindi, è uno dei protagonisti di Beetlejuice! E come sappiamo da questo mio post sulla stop-motion (ricordandoci che Tim Burton ha iniziato il suo percorso creativo proprio come animatore), la ricostruzione dei paesaggi su plastico è uno dei tratti fondamentali di questa stupenda arte. Dopotutto, è Adam, uno dei protagonisti, a curare il plastico e potremmo anche definirlo un alter ego del regista, no?

    Inoltre, nella pellicola sono presenti una serie di mostri che secondo me sono realizzati con una delle tante tecniche della stop motion; per esempio, i vermi delle sabbie! O il serpente nel quale Betergeuse si trasforma per spaventare i Deetz. O le statue che prendono vita, con la loro presa di mobilità che rappresenta una vera e propria rimodellazione del loro essere (dopotutto, l’arte della stop-motion non è proprio dare vita ad oggetti inanimati?). Questi sono tutti dettagli che dimostrano non solo la grande fantasia dell’artista ma anche il suo grande legame verso questa arte.

    I personaggi di Beetlejuice:
    I protagonisti di Beetlejuice sono ovviamente Barbara e Adam Maitland, essendo la storia confezionata interamente attorno a loro e al loro spazio temporale (diverso da quello dei vivi); tuttavia, tra i due chi è il protagonista? Io di mio avrei detto Barbara perché all’inizio vediamo come lei desideri un figlio mentre nell’ultima scena il lieto fine prevede la composizione, in modo speciale, della tanto agognata famiglia felice, e inoltre è lei a sconfiggere Betelgeuse e ad avere le idee migliori; ma è per colpa della passione di Adam che i due muoiono, il plastico è presentato nella prima inquadratura del film e nell’ultima scena e il suo personaggio ha lo stesso tempo in scena di quello di Barbara (la coppia è sempre insieme in scena). Per voi tra i due chi è indispensabile nella trama? Comunque, i protagonisti sono due persone per bene, semplici e solari, con le quali è molto facile empatizzare e averli in simpatia. Come già detto, i due sono ignari del mondo dei morti e le informazioni che scoprono le condividono con lo spettatore ignaro come loro; è bello vederli scoprire pian piano le loro abilità fino allo scontro finale a fine pellicola!

    Lydia, è la figlia dei Deetz. Personaggio dilaniato da un’estrema necessità dell’affetto e delle attenzioni che i suoi genitori non riescono a elargirle, è lei la prima ad accorgersi della presenza di Barbara e Adam; lei stessa si definisce strana e inusuale, ha un vestiario gotico e ha un atteggiamento decadentista. Caratterizzata da un’alta percezione del reale e dell’irreale, è mostrata molte volte scattare fotografie di ciò che la circonda, forse perché è l’unico modo con il quale riesce a relazionarsi a una realtà che sente non la voglia con sé. Gentile e tranquilla, è un’artista come Adam e come Barbara è lei a richiamare Betelgeuse quando il pericolo incombe; non sorprende che alla fine i tre formino una famiglia.

    I Deetz, invece, sono una coppia di coniugi egocentrici, sempre al lavoro e con poco tempo da dare alla figlia. Mi sono sempre chiesto se alla fine i veri antagonisti siano loro o Betelgeuse: Betelgeuse arriva a causa loro e quasi ammazza tutti, o sono loro che rovinano la pace iniziale e quasi ammazzano i Maitland? Da notare in ogni caso che loro attivamente non fanno nulla e che alla fine la loro situazione è solo migliorata a livello lavorativo, trascurando la figlia proprio come all’inizio!

    E infine parliamo di Betelgeuse: uno spirito concreto, sincero e spietato, sa quello che vuole e manipola gli altri personaggi per ottenerlo. La sua prima scena lo mostra a leggere un giornale in evidente ricerca di un lavoro e si sofferma sui protagonisti; interessante è che il suo volantino appaia a loro prima ancora che loro sappiano della sua esistenza, rivelando quindi grandi capacità illusorie e manipolative. Poi, durante la propria presentazione, si capisce che sia più interessato al lato carnale che ideologico della vicenda: propone delle avances a Barbara, la molesta e non ascolta minimamente i due. Quindi, quando parla con Lydia, si mostra molto comprensivo (anche se non la dissuade di suicidarsi) rivelando solo dopo, alla fine del film, i suoi reali intenti. Secondo me, essendo legato a serpenti e soprattutto agli scarafaggi Betelgeuse rappresenta la morte, lo stato di decomposizione, lo spirito morto per eccellenza; interessante, poi, che quando sposa Lydia lei abbia un vestito rosso come il sangue, le carni, tutto ciò che lui brama ma che da solo non può ottenere.

    Gli ambienti e il mondo di Beetlejuice:
    Gli ambienti di Beetlejuice sono molto belli, una splendida miscela tra realismo e architettura onirica: per Barbara e Adam il mondo dei morti non è molto diverso da quello a cui erano abituati. Infatti, all’inizio tornati a casa dalla loro tragica morte non si erano nemmeno accorti della transizione! Il mondo dei morti, infatti, è qualcosa di simile ma abbastanza evasivo e strano da causare fascinazione e disorientamento nello spettatore, per far temere anche che l’Aldilà non sia così diverso dalle noie a cui noi tutti siamo abituati. A me piace molto come è stato creato il palazzo delle amministrazioni dei morti perché riproduce finemente le sale di attese, le grandi sale di impiegati statali e i labirinti in cui i poveri avventori devono aggirarsi per trovare il proprio consulente; il tutto ovviamente presentato con geometrie distorte e morti aventi corpi orribilmente sfigurati dalla propria morte o consumati dal tempo!

    Conclusioni:
    Insomma, Beetlejuice è un film molto bello, caratterizzato da un umorismo dissacrante e una serie di effetti speciali artigianali invecchiati benissimo! Io ovviamente ne consiglio la visione, così come consiglio ora la lettura del mio piccolo approfondimento su… Tim Burton!!

    Edited by Tony! - 4/11/2020, 10:50
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    Le nebbie di Avalon è un romanzo del 1983 scritto da Marion Zimmer Bradley ispirato alle vicende del celebre ciclo arturiano, si distingue dalla letteratura di genere grazie a un approccio più focalizzato sul periodo storico-religioso e basando la narrazione sulle vite delle donne protagoniste e non su quella di Artù.

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    Trama:

    Vi fu un’epoca in cui le porte tra i mondi fluttuavano con le nebbie e si aprivano al volere del viaggiatore. Di là dal regno del reale si schiudevano allora luoghi segreti e incantati, siti arcani che sfuggivano alle leggi di Natura e si sottraevano al dominio del Tempo, territori favolosi dove le più strane e ammalianti creature parlavano lingue oggi sconosciute, avevano gesti, modi e riti oggi indecifrabili; dove nessuna cosa era identica a se stessa, ma poteva mutarsi ogni istante in un’altra. Con l’andar del tempo, però, “reale” e “immaginario” entrarono in netto contrasto. Allora come oggi, furono le donne a fare da mediatrici. Morgana, Igraine, Viviana conoscevano il modo per far schiudere le nebbie e penetrare nel magico regno di Avalon…

    Commento:

    Leggere Le nebbie di Avalon è stata un’esperienza molto affascinante. Infatti, Le nebbie di Avalon mostra un mondo medievale profondamente diviso tra due religioni -quella cristiana e quella pagana britannica- e tutti gli accadimenti narrati nel ciclo arturiano sono ripresi in questo mondo storicamente attendibile ma con una chiave di lettura diversa, più originale: dal punto di vista di una donna e sacerdotessa della religione che sta venendo dimenticata in favore del cristianesimo.

    La protagonista di Le nebbie di Avalon è Morgana, una Morgana molto diversa da quella legata all’immaginario collettivo. Questa Morgana è una donna che prima di tutto è sorella, figlia, madre e solo dopo, quando prende l’incarico di Sacerdotessa di Avalon, diventa suo malgrado nemica del suo amato fratello Artù. Il suo personaggio quindi è drammatico ed è quello ovviamente meglio caratterizzato, sia perché anche se non compare in scena viene spesso citata sia perché certe volte i suoi pensieri riassumono l’accadimento appena avvenuto dando la sua versione dei fatti; è molto facile empatizzare con lei. Se all’inizio Morgana viene presentata come una ragazza insicura manovrata dalla sua madre adottiva, e Signora di Avalon, per servire ai voleri della Grande Dea, dopo molti anni di rifiuto della propria identità Morgana riesce a tornare nella propria fede e fare ciò che ritiene giusto per Avalon e la Dea che serve e incarna; purtroppo, come spesso penserà alla fine, per svolgere i suoi doveri ha dovuto perdere tutte le persone a lei più care. Un personaggio tragico, ma anche forte e capace di una passiva aggressività che tira fuori solo quando non può fare altrimenti.

    Degli altri personaggi, i più importanti sono sicuramente Viviana, Morgause, Artù, Ginevra, Lancillotto, Kevin e Mordred; nella narrazione, l’occhio esterno si concentra soprattutto su Viviana e Ginevra. Con ciò è inevitabile non notare come l’approccio alla storia non solo sia femminile ma anche legato inesorabilmente alla religione: Viviana, infatti, è la sacerdotessa massima dell’antica religione e donna di mondo, grande manovratrice delle sorti dei nipoti, mentre Ginevra è una regina cristiana fino al fanatismo ed è lei a spingere Artù verso il cristianesimo totalitario e di fatto contro Avalon e la sua stessa famiglia. Gli altri, ci sono, alcuni sono caratterizzati meglio e altri peggio, ma tutti riescono a creare una cornice elaborata attorno alle tre grandi donne di Le nebbie di Avalon: Morgana, Ginevra e Viviana.

    Fattore molto importante è la contestualizzazione della magia, elemento caratterizzante le storie di Artù, anche solo come superstizione (basti pensare al film King Arthur con Keira Knightley). In questo romanzo, la magia è una concessione della divinità e viene praticata quasi esclusivamente dagli iniziati ai misteri di Avalon; questa magia quindi si manifesta in rare occasioni: per aprire le nebbie che avvolgono Avalon dai mortali, per scorgere negli specchi gli avvenimenti presenti o futuri o formulare incantesimi o rituali, tutte cose secondo il volere della Grande Dea. L’unico elemento magico che chiunque può possedere è la Vista, tratto distintivo dei discendenti dell’antica dinastia; essa permette alla persona di ricevere visioni dagli Dei riguardanti fatti sulle le persone della propria stirpe purché discendenti dalla quella di Avalon. Altrimenti, l’unica magia che viene mostrata molto spesso è quella ‘normale’ legata alle conoscenze dell’erboristeria, della medicina e dell’astronomia.

    Altro elemento interessante in Le nebbie di Avalon è l’amore. Esso è mostrato puro e senza mistificazioni solo nel legame materno e fraterno, solo questo è il legame che dura e che non può essere spezzato; logico, notando alla fine l’estrema importanza del tema della dinastia e della conservazione di essa, assieme alle antiche tradizioni. Durante la narrazione si notano diversi tipi di legami (Morgana con Kevin, Morgana con Artù, il triangolo tra Artù e Ginevra e Lancilotto, Lancillotto e Morgana e molti altri) ma molti di questi sono solo flebili o poco duraturi, mentre il legame familiare resiste sempre, anche a costo di apparire sconveniente a causa di incesto o tendenze bisessuali; anche se, alla fine, non sono sconvenienti secondo le usanze di Avalon.

    Ultimo elemento da chiarire meglio è ovviamente il contesto religioso: da una parte la terra dei misteri Avalon, dall’altra le corti cristiane in balia dei preti. Se una religione fatica a resistere all’avanzare del Cristo in Britannia, pure con molti sacerdoti che iniziano a preferire una miscelazione delle religioni vedendo la rovina del paganesimo, dall’altra anche a causa del fanatismo di Ginevra il cristianesimo prende sempre maggiormente le popolazioni inglesi, ripudiando i vecchi riti e i boschi sacri. La religione è la vera causa del conflitto, è la vera causa della tragedia di Morgana perché proprio quando capisce che il suo posto è lo stesso di Viviana, sacerdotessa massima di Avalon, si rende conto di quanto Artù (che aveva promesso di proteggere Avalon quando salito al trono di Grande Re) la stia lentamente dimenticando pur tenendo per sé i grandi doni magici che gli erano stati fatti. Insomma, se Morgana fosse stata cristiana o Artù avesse preso consiglio da lei per salvaguardare Avalon e non da Ginevra, molta parte degli avvenimenti non si sarebbero mai svolti!

    Io, ovviamente consiglio di leggere Le nebbie di Avalon perché è un romanzo diviso in quattro libri che insieme formano 600 pagine e in ciascuno libro minore c’è una raccolta temporale degli avvenimenti, in modo che l’intera vicenda sia narrata in compartimenti tematici molto interessanti e facili da capire. Avendo un punto di vista femminile le guerre non sono contemplate ma il lato storico-religioso e il conflitto che crea riempie le pagine, così come gli amori tormentati dei poveri personaggi travolti dal loro triste destino.

    Qui è possibile leggere un punto di vista diverso al romanzo.
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    Questo racconto è molto personale perché è ispirato a una parte della mia vita; lo scrissi nel Luglio 2020, come esercizio alla scuola Sentieri Selvaggi di Roma.

    In un paesino di montagna, Pelaghe, vicino a Rizzios, nel Cadore, un giovane uomo osserva il proprio telefono cellulare. Sono ore che è impegnato a disperarsi, a chiedersi come mai nessuno gli scriva, come mai nessuno pensi a lui, come mai nessuno si ricordi di lui. È da minuti interi fermo, sul letto, dritto appoggiato allo schienale, teso e gonfio di lacrime; non piange solo perché è abituato. Con una mano tiene lo smartphone, nell’altra sfoglia ossessivamente il proprio diario. Un diario scritto a mano, dove riporre la propria desolazione e il proprio bisogno di compagnia, una compagnia che non ha e probabilmente non troverà in un prossimo futuro. Posa il cellulare sul letto, ai piedi, e prende con entrambe le mani quelle pagine ricolme di dolore e solitudine; una lacrima finalmente gli scende.

    Fattosi coraggio, butta per terra il diario e afferra il telefono, lo accende e guarda nei suoi contatti: vuole telefonare a qualcuno! Quindi inspira, sospira e gli viene il singhiozzo. Tutto sconquassato da questi singhiozzi violenti e rumorosi, scorre i nomi delle persone che conosce e finalmente sceglie Luca, il suo unico amico fino a qualche tempo prima; prima che smettesse di messaggiargli. Sta fermo qualche secondo, nel frattempo una mosca inizia a ronzargli intorno, solo i singhiozzi testimoniano che egli sia una persona viva, in grado di comunicare. Il telefono squilla, i secondi passano, la telefonata viene respinta, il cellulare torna alla schermata principale. Il dolore gli spegne ogni speranza, perfino il singhiozzo.

    Improvvisamente, dopo essere rimasto fermo con la lacrima splendente che gli scivolava addosso, sulla guancia scavata, suona l’allarme del telefono: sono le sedici in punto, si deve affrettare per non perdere l’unico autobus della zona per recarsi ad una seduta di psicoterapia. A lui, non è mai piaciuta la psicologa, lo infastidisce, lo mette a disagio parlare dei propri problemi, lo ha scritto ripetutamente perfino nel diario, ma i suoi genitori lo obbligano; quindi lui ci va.

    Il percorso dalla palazzina in cui abita alla fermata è tranquillo, troppo tranquillo. Sente solo i propri passi, le popolazioni di conifere della zona lo circondano, non si vede una casa a vista d’occhio. Prima di trovare un’altra casa, un burrone si presenta nella sua maestosità: decine di metri di salvezza per cuori straziati come il suo. Lui molte volte ci ha pensato, di buttarsi. Mai veramente presa sul serio come soluzione, ma ci ha pensato: infatti, come potrebbe altrimenti uno stupido in sovrappeso come lui trovare la pace dei sensi? Se lo ripete sempre, borbottando tra sé e sé, si trova a ripeterlo anche quando arriva alla fermata dell’autobus dove trova Irene.

    Irene siede sulla panchina verde, è bella come un fiore di Narciso, splendente come un torrente colpito dal sole, solare come una gemma sul punto di sbocciare. Siede sulla stessa panchina su cui si deve sedere il povero ragazzo, ma, impacciato, non sa cosa deve fare, non sa se restare in piedi e fare in modo di non compromettere quella visione con la propria orrida figura, non sa se sedere e sudare per stare accanto a una ragazza tanto, semplicemente, donna; lei è donna, una donna bella e splendente e solare, lui invece non si considera nemmeno un uomo.

    Irene aspetta come lui, deve prendere un autobus come lui, per andare in un villaggio di montagna come lui, probabilmente aspetterà molto tempo prima di riuscire a ottenere il suo scopo proprio come lui, ma a differenza di lui non sente il bisogno di sentirsi accettata e non teme il confronto: come lo ha visto, gli ha chiesto se volesse sedersi accanto a lei «C’è posto, sai? Che fai in piedi tutto solo?». Ma lui invece non se la sente, suda e ha pure un leggero tic alla mano, che si chiude e apre con scatti irregolari.

    Alla fine, però si siede.

    Irene emana un profumo di rose fresche, quelle fresche ancora brillanti di rugiada, grandi rubini rossi impreziositi dai piccoli diamanti incastonati su di essi. Ogni tanto Irene guarda il proprio Smartphone, ogni tanto sorride alla natura, gli uccelli che sfrecciano sopra agli alberi, il vento sulle fronde che si porta dietro gli aghetti più marroni, gli animaletti indistinguibili che si spostano sul sottobosco e provocano un simpatico crepitio di foglie secche. Irene non sa che lui la sta fissando con la visione periferica dell’occhio, Irene non sa che lui sta sudando per pensare a cosa dirle e Irene non sa che il cuore di lui sta accelerando sperando che lei gli rivolga un sorriso. Irene sa solo di aspettare l’autobus per ritrovare a Calalzo una delle cose più banali di questo mondo ma che al ragazzo manca: gli amici.

    «Ciao, sono… Sono…»

    Irene, sentiti questi balbettii, si gira verso quello strano sconosciuto. Lo squadra velocemente, begli occhi scuri e profondi, mascella forte, e si chiede come mai stia balbettando; sorridendo, e toccandogli gentilmente una mano, glielo chiede esplicitamente. Lui non risponde, è troppo nervoso, vede grigio e la testa gli gira.

    Deve appoggiarsi alla parete di vetro del loculo in cui è posta la panchina per aspettare i mezzi pubblici. Ma quando rinviene, non solo Irene è sparita, ma in lontananza l’autobus sta andando verso le montagne, verso il tunnel che collega Pelaghe a Rizzios. Finalmente piange.

    «Veronica, pronto? Sì, sono io. Mi dispiace, ma non ho potuto prendere l’autobus e quindi non posso venire… Sì, lo so. Sto bene, sì sto bene. Possiamo fare la seduta venerdì prossimo? Sì… Certo, ci sarò. Arrivederci.»

    Stanco e sfinito, reduce da un episodio per lui disastroso e umiliante, torna a casa. Non vede nemmeno il burrone presso il quale è solito fermarsi a disperarsi, non cerca nemmeno di riflettere sull’accaduto: sa cosa ha sbagliato, una volta a casa lo scrive sul diario, lo evidenzia sul diario, lo trascrive su un foglio e se lo appende alla parete di fronte al letto della propria camera. Un episodio tragico, un episodio, che lo ha mandato in crisi.

    Tre giorni dopo, ad aprirgli la porta c’è Veronica, una donna di mezza età dal sorriso gioviale e dalle maniere rassicuranti. Con un sorriso largo e un gesto teatrale, spalanca l’ingresso al proprio studio e lo invita a sedersi.

    «Buongiorno, carissimo! Come stai oggi?»

    Il ragazzo, leggermente rassicurato dalle attenzioni ricevute, accenna un sorriso anche se i suoi occhi testimoniano l’enorme insicurezza che lo contraddistingue. «Bene, grazie. Mai stato… Meglio.» Lentamente, il giovane uomo segue la donna e si siede su una grande poltrona verde, posta a pochi centimetri dalla scrivania dietro alla quale prende posto su un’altra spaziosa poltrona la psicologa Veronica.

    «Allora, carissimo, come hai passato questo mese?» Lo sta guardando dritto negli occhi; serena ma pur sempre diretta nelle parole e nelle azioni.

    «Sì, certo. Bene, ho studiato molto sai? Ho anche preso dei sei, finalmente… Posso avere una caramella?»

    «Su, non dimenarti e cerca di stare fermo. La caramella te la do se collabori, non puoi svicolare la tua attenzione non appena trovi qualcosa che ti mette in difficoltà! Come mai non sei venuto, martedì?»

    Il ragazzo suda freddo: non sa se rivelare l’accaduto, la sua situazione in tutta la solitudine che la caratterizza, o tacere e inventare una scusa al momento; propende per la seconda, ma la giornata di martedì era stata troppo sfiancante, deve sfogarsi e lo fa.

    «No nulla è che… Mi sento, mi sento solo. Terribilmente solo. Sento di aver perso i legami con le persone che mi circondano. Nessuno mi vuole. Nessuno mi cerca. Passo ore al computer ma non ho notifiche né su Facebook né su Instagram né su Twitter! Su Telegram e Whatsapp non arrivano messaggi, i soli che mi arrivano sono dei miei genitori per ricordarmi di stendere la biancheria, tirare dentro il bidone dell’umido e preparare la tavola! È… È come se vivessi in una grande bolla e non riuscissi a farla scoppiare! Io mi sento morire dentro, non voglio questa vita ma è la vita che mi sta dando questo! E… Posso avere una caramella?»

    Veronica lo osserva attentamente, mentre chiude ripetutamente le dita della mano come se provasse a strangolare il dolore che lo strozza. Lei resta immobile, con i gomiti sul tavolo e le mani congiunte davanti agli occhi; è lui che si muove, finalmente, è lui che urla il suo disagio. Allora lei acconsente a fargli prendere una caramella dal vasetto di porcellana sul lato destro della superficie lignea.

    «E perché non chiami mai i tuoi amici?», chiede allora con prudenza.

    «Ma quali amici? Nessuno mi cerca, nessuno mi vuole! Prima ho chiamato Luca e lui… E lui… E lui ha riattaccato! Mi ha spento il telefono in faccia! Io… Non ce la faccio più. So che è tutta colpa di questo corpo, grasso e deforme. I miei non vogliono iscrivermi in palestra, so che se ci andassi e diventassi figo, tutto si risolverebbe! Sì, è questo il problema: la gente vuole stare con altra gente bella e sicura di sé, non con quelli come me.»

    «E perché allora non ti fai nuovi amici? Cosa hai paura quando devi parlare con qualcuno che non conosci? Che ti giudichi? Che ti rifiuti?»

    Il ragazzo sospira e si affloscia sulla sedia: «Che mi rifiutino e si prendano gioco di me.»

    Finita la seduta, arrivato finalmente alla fermata tra Rizzios e Pelaghe, scende dall’autobus. Sorride, dalla psicologa si è finalmente aperto, le ha parlato come mai aveva fatto prima, le ha esposto le proprie insicurezze, come passa ore allo specchio a sollevare la pancia gonfia e disgustandosi di essa, come non parli mai con nessuno che non sia della propria famiglia. Ora, per le prossime tre settimane ha un compito: parlare con la gente che incontra per strada, al panificio, a scuola, in piscina.

    Così, inizia a uscire, cercare nuove conoscenze, trascinarsi a scoprire nuovi posti. Si sente sempre stupido, brutto, grasso, rivoltante. Ma vede anche qualcos’altro oltre ai propri disastri: infatti, ormai non si ferma più a osservare il burrone vicino a casa, ma solo i tramonti delle sere che torna dal nuoto. Si sente meglio, meno pesante.

    E quando, un giorno, alla stessa fermata del bus di qualche settimana prima, incontra di nuovo Irene, sempre sorridente mentre aspetta il proprio autobus, lui la saluta e prima che lei possa dire o fare qualsiasi cosa, lui forzatamente sorride timido e arrossato: «Ciao… Come, come ti chiami? Io sono… Io sono Leonardo…»
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    Belle Époque è un film del 1992 diretto da Fernando Trueba, vincitore dell’Oscar al miglior film straniero e di nove Premi Goya su diciassette candidature. In esso, in un ruolo comprimario, è notabile una giovanissima Penelope Cruz in una delle sue interpretazioni più innocenti e ingenue.

    BelleEpoque



    Trama:
    Belle Époque è una pellicola che vidi parecchi mesi fa e di cui mantengo ancora un bel ricordo. Parla di un ragazzo che, scampato all’esercito, viene soccorso e ospitato da un vecchio e dalle sue quattro belle figlie; inutile dire che il ragazzo con un’ingenua seduzione riuscirà non solo ad andare a letto con tutte e quattro ma anche, dopo ben tre rifiuti, a sposarsene una!

    Cast principale:
    Jorge Sanz: Fernando
    Fernando Fernán Gómez: Manolo
    Penélope Cruz: Luz
    Miriam Díaz Aroca: Clara
    Maribel Verdú: Rocío
    Ariadna Gil: Violeta

    Informazioni generali:
    Regia: Fernando Trueba
    Soggetto: Fernando Trueba, Rafael Azcona, José Luis García Sánchez
    Sceneggiatura: Fernando Trueba, Rafael Azcona, José Luis García Sánchez
    Produttore: Fernando Trueba
    Fotografia: José Luis Alcaine
    Montaggio: Carmen Frías
    Musiche: Antoine Duhamel
    Scenografia: Juan Botella
    Lingua originale: Spagnolo
    Paese di produzione: Spagna
    Durata: 109 min

    Commento:
    Belle Époque è una bella commedia che inneggia alla vita, alla passione e alla realizzazione della propria persona senza nascondere i propri istinti.

    I personaggi più interessanti di Belle Époque sono ovviamente le quattro sorelle, quattro bellezze tentatrici molto diverse ma anche incredibilmente unite per sopportarsi in un mondo dominato dagli uomini. Le quattro sirene sono: la verginella pura, la vedova casta, la lesbica indipendente, la facilona bella; queste veloci descrizioni secondo me sono basate su stereotipi legati alla cultura che circonda i personaggi di Belle Époque e infatti durante la narrazione li vedremo distrutti grazie a situazioni paradossali e grandi sorprese che renderanno le conquiste del ragazzo in verità delle seduzioni perpetrate dalle quattro fanciulle.

    Infatti uno degli elementi più interessanti è che, seppur sia il ragazzo a scoparsele tutte e quattro, non è lui ad avere il controllo della situazione. Sono le quattro sorelle a contenderselo soddisfacendo i propri istinti, talvolta eccitate dalla situazione per poi respingerlo in malo modo, talvolta attirandolo a sé facendo finta di non volerlo per poi negare il tutto. Il povero ragazzo, ogni volta, convinto di avere trovato la donna della sua vita chiede alla ragazza di sposarlo ma di nuovo è la ragazza stessa ad avere il potere e lo rifiuta; quando lui finalmente si sposa, non è lui a chiederlo ma lei a proporsi. Questo schema si vede anche quando compare la loro madre: sposata con un nuovo marito, non si fa problemi ad andare a letto con il padre delle sue figlie sapendo che entrambi fanno solo ciò che lei vuole.

    Per finire di parlare dei personaggi, Belle Époque si aggiunge alla lista dei film arcobaleno con una bella rappresentazione di una ragazza lesbica. Lei, pur amando solo donne e vestendo spesso abiti poco femminili, non ricade nello stereotipo del maschio mancato grazie a una delle scene più forti del film che non voglio spoilerare; dico solo che c’entra del rossetto e un vestito da cameriera. Veramente un bel personaggio, soprattutto per come viene descritto il suo personaggio e per come rifiuta il matrimonio.

    Un altro punto di riflessione per Belle Époque è il tema carnale della pellicola: infatti, animali, paesaggi, colori caldi e tanti pasti sono mostrati durante la visione del film. Molte volte vediamo gli animali del cortile, grandi portate fornite in varie occasioni, il paesaggio e la sua natura è anch’esso molto parte della trama. L’ho notato solo io?

    Insomma, io consiglio vivamente Belle Époque perché anche se la trama è lineare e prevedibile, fa molto ridere, è solare, caldo e ben scritto soprattutto per i personaggi. E poi c’è una Penelope Cruz che è un fiore!^^
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    CITAZIONE (~Dark Suicune @ 2/10/2020, 01:34) 
    Votato :3

    grazie^^
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    ciao, quando spammi puoi votare? è da un po' che non c'era la possibilità
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    La carezza della paura è un romanzo del 1988 di genere fantasy-horror, scritto da Charles L. Grant.

    la_carezza_della_paura



    Trama:
    Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

    Commento:
    Comprato al mercatino dell'usato, invogliato da una citazione di Stephen King in cui egli omaggiava l'autore, non ho apprezzato particolarmente la lettura e non mi sento di consigliarlo.

    Il romanzo ha come protagonista Donald, un ragazzo a cui è morto il frattelo, figlio del preside della propria scuola e quindi mantenuto sempre in un velo di iperprotezione e paura di subire favoritismi da chiunque; in verità, egli per tutta la durata della narrazione rimane una figura marginaria e debole, infantile e sempre insicura, è incapace di prendere una qualsiasi posizione.
    Lo spirito animale che appare a metà libro (un po' tardino secondo me) rappresenta le sue pulsioni più violente e la sua voglia di vendetta, di emancipazione emotiva; purtroppo, si capisce che non solo è violento come il padre, perché non riesce a controllare la creatura anche se è psichicamente connessa a lui, ma nel finale ne crea una seconda perché alla fine non è maturato dalla vicenda ma anzi è tornato incapace di affrontare in prima persona i problemi che la vita gli pone davanti.

    Il romanzo in generale si fa leggere, ha una buona stesura e il traduttore ha fatto un buon lavoro, a parte un arcaico claxon sopravvissuto probabilmente all'operazione letteraria di revisione del prodotto finale.
    Il problema principale del romanzo è che per metà libro c'è un serial killer che uccide adolescenti a caso, nella seconda metà invece c'è lo stallone fantasma che uccide chi dà problemi a Donald; ma da nessuna parte la figura di Don viene approfondita dal narratore onnisciente preferendo invece mostrare cosa accadeva agli altri personaggi in centinaia di piccoli paragrafi.

    Personalmente, avrei preferito una narrazione più lineare e incentrata su Donald, sulle sue reazioni agli omicidi e sui suoi pensieri; gli altri personaggi sarebbero stati benissimo di contorno.

    Conclusioni:
    Non consiglio questo libro a chi cerca un horror bello e ansiogeno, annoia troppo e spreca l'occasione di analizzare per bene la psicologia di un protagonista tanto disagiato, preferendo a ciò un approccio più vittimistico.
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    A star is born. Stupendo!!
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    Dopo aver letto il romanzo gotico per eccellenza, Dracula, mi trovai davanti a una bancherella di libri usati e quindi per soli cinquanta centesimi comprai questa raccolta di racconti di Bram Stoker.

    All'interno della raccolta vi sono La coppa di cristallo, Il castello del Re e Il Costruttore di Ombre. Per me, il migliore è senz'ombra di dubbio il secondo.





    Introduzione:



    La coppa di cristallo è il racconto principale della raccolta, è suddiviso in tre parti e ha come tema centrale il raggiungimento dell'arte. Narra la storia di un artista reso schiavo probabilmente per essere diventato l'amante della figlia del re e passa i suoi giorni a scolpire una scultura tanto bella da regalargli la libertà alla festa della bellezza che si sarebbe nel regno in futuro. Raccontato da nella prospettiva di tre personaggi diversi, uno per capitolo, il linguaggio e lo stile cambiano a seconda del personaggio, anche se una certa fantasia e un'epicità poemeggiante si riversa nella lettura, piacevole anche se malinconica.



    Commento ai racconti:



    Il castello del Re è scritto in terza persona, la vicenda è raccontata da un narratore onnisciente e parla del viaggio di un poeta verso le terre della morte, nel cui castello vive ormai la sua bella morta di malattia. Un racconto struggente e ricco di mistero, vi è all'interno una propria mitologia e una geografia mistica, dove le ombre sorreggono le alture e gli imponenti edifici mentre le forme fisiche nascono i più temibili predatori. Una lettura che consiglio non per la trama ma per le figure che l'autore riesce a trasmettere al lettore: pur essendo casto di aggettivi (soprattutto verso il protagonista), la solitudine è sempre presente e il mondo naturale è descritto magnificamente con grande focus verso i serpenti. Bellissimo, anche se alla fine togliendo le metafore e i giri di parole, credo che il protagonista si sia suicidato.



    Il Costruttore di Ombre è nuovamente narrato in terza persona singolare da un narratore onnisciente e nuovamente presenta una propria mitologia. Qui è presentata la tesi secondo cui noi deriviamo dalle ombre del mondo e che quando moriamo torniamo tra le ombre o in case vicino ad esse (in netta opposizione con la mitologia del racconto precedente) ed è attraverso il Costruttore di Ombre che il racconto si snoda. Il tutto è molto poetico e omaggiante i legami affettivi, la lettura è sicuramente piacevole e in un certo senso tenera.



    Conclusioni:



    Quindi questa era la raccolta. Molto bellina, con Dracula noto una grande somiglianza nella descrizione degli spazi misteriosi e del regno animale, anche se il tipo di narrazione è molto distante. Consiglio la raccolta ai fan di Bram Stoker e a chi vuole godersi qualche pagina in un mondo fantastico e gotico.



    Edited by Tony! - 9/9/2020, 09:25
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    Manuale del film: linguaggio, racconto, analisi è un libro didattico scritto da G. Rondolino e D. Tomasi, che ho letto con l'intenzione di addentrarmi ancora di più nel mondo del cinema e capire più nel dettaglio di cosa si tratta.

    manuale_del_film



    Commento:
    Diviso nelle tre grandi categorie presentate in copertina, il libro istruisce il lettore nel dettaglio sui grandi ruoli del cinema e la loro storia dagli albori nel 1800 fino al cinema moderno: sceneggiatore, regista, fonico, regista, montatore, costumista e tanti altri lavori.
    La descrizione delle varie tecniche di regia e di montaggio, la descrizione di cosa è un racconto e di come narrare un tema, tutto questo e tanto altro è coadiuvato nell'insegnamento da estratti di film: infatti, sono presenti numerosi fotogrammi e inquadrature di film celebri posti come esempio della tecnica o dell'analisi spiegata in quelle pagine.

    Io consiglio caldamente la lettura di questo libro, ma la lettura è molto impegnativa e pregna di informazioni; io stesso dovrò rileggerlo più volte evidenziando perché molte informazioni devo averle lette e basta.
1024 replies since 16/5/2016
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