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Mostro, così descritto da Esiodo: "la divina Echidna dal cuore violento, metà fanciulla dagli occhi splendenti e dalle belle guance, ma metà prodigioso serpente terribile e grande, astuto, crudele”; era la figlia di Forco e di Ceto; da Tifone ebbe il cane Orto, Cerbero, l’Idra di Lerna e Chimera; dal figlio Orto ebbe la Sfinge e il Leone di Nemea. Echidna viveva in una caverna “nel paese degli Arimi” (Teogonia, 295-332), un luogo non ben identificato, forse in Cilicia o nel Peloponneso. Secondo una tradizione attestata da Erodoto, Eracle si trovava in Scizia quando, sorpreso dal gelo, si avvolse nella pelle di leone e si addormentò. Mentre dormiva, sparirono le sue cavalle. Eracle le cercò per tutto il paese finché non giunse nei pressi di una grotta nella quale “trovò una creatura dalla duplice natura, per metà donna e per metà serpente: donna dai glutei in su e rettile in giù”. Eracle le chiese se aveva visto le sue cavalle ed Echidna gli rispose che erano in mano sua e che “e che non gliele avrebbe restituite se prima non faceva l’amore con lei”. Eracle acconsentì, e dalla loro unione nacquero tre figli: Agatirso, Gelono e Scite. Prima di andarsene, Eracle lasciò ad Echidna il suo arco e le disse di mettere alla prova i figli quando fossero divenuti adulti. Chi fosse riuscito a tendere l’arco come lo tendeva lui, doveva regnare nel paese; gli altri dovevano essere scacciati. Vinse la prova il minore, Scite, che poi avrebbe dato origine alla stirpe degli Sciti (IV, 9-10). Echidna usciva dalla sua caverna per divorare i passanti. Fu uccisa dal mostro Argo che la sorprese mentre dormiva. Per Apollodoro Echidna era figlia del Tartaro e di Gea; da Tifone ebbe il drago immortale posto a guardia dei pomi delle Esperidi, Chimera, Orto, l’aquila che divorava il fegato di Prometeo, la Sfinge e la scofa Fea (Biblioteca, II 1, 2; 3,1; 5, 10-11; III 5,8; Epitome 1,1)
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